TERZA VIA
NAVIGAZIONE - RICERCA

Reti infrastrutturali di comunicazione e distribuzione

Per reti infrastrutturali di comunicazione e distribuzione si intendono quelle opere e strutture, connesse al suolo o all’etere pubblico nazionale, che consentono lo spostamento di mezzi, prodotti, informazioni ed immagini da un punto  all’altro del territorio nazionale quali:

  • la rete ferroviaria;
  • la rete stradale (urbana, extraurbana ed autostradale);
  • la rete idrica e fognaria;
  • la rete di idrocarburi e gas;
  • la rete di energia elettrica;
  • le reti portuali ed aeroportuali.
  • le reti materiali ed immateriali: telefoniche, telematiche e video - foniche in generale.

I servizi erogati attraverso dette reti sono strategici sia ai fini della sicurezza che dello sviluppo socio - economico della nazione, per cui mentre la gestione dei servizi che si avvalgono di dette reti può essere affidata ad operatori privati, la
gestione e manutenzione delle reti infrastrutturali va esercitata sotto il controllo e la partecipazione  azionaria  dello Stato o di enti pubblici periferici..

In particolare, per ciascuna rete, si ravvisa la necessità di ricorrere ad uno specifico Ente pubblico di gestione, che imposti e coordini le politiche di sviluppo necessarie a far fronte alle esigenze nazionali, sempre crescenti e sempre più innovative, che la specifica rete richiede.

Questo per garantire: da una parte l’efficienza, la sicurezza e l’innovazione tecnologica  delle reti e dall’altra un corretto e sano principio di concorrenza tra gli operatori privati che si avvalgono delle stesse reti per fornire  i relativi servizi.

Infatti i limiti della privatizzazione dell’ ex  SIP (Società Italiana per l’Esercizio Telefonico),  con la cessione alla Telecom Italia S.p.A. della rete telefonica, anche se con diritto d’ uso da parte degli altri operatori telefonici esistenti sul mercato, sono stati quelli di consentire alla stessa Telecom di esercitare un monopolio  privato, in sostituzione del precedente monopolio pubblico, e quindi non centrare l’obiettivo di liberalizzare il settore telefonico con la l’operazione di privatizzazione eseguita.

   Amaro

Mezzi di Comunicazione

Il settore della comunicazione è molto variegato oltre che delicato ed influente ai fini dell'informazione e formazione di un popolo per cui, non a caso, è definito "quarto potere".

Gli italiani preferiscono sempre più le nuove tecnologie per l'informazione e l'intrattenimento ed, in particolare, tra i mezzi di comunicazione di massa (o mass media) la televisione occupa il primo posto, con un accesso di oltre il 95% della popolazione.

A piazzarsi seconda è la vecchia cara radio con il 68% di utenti.

La novità, si fa per dire, è invece il terzo posto occupato da Internet, scelto e utilizzato dal 55% della popolazione; un dato significativo quest'ultimo in quanto la Rete scalza forse in via definitiva la stampa come mezzo più utilizzato per l'informazione.

 

La carta stampata soffre ormai da anni la concorrenza spietata dell'informazione che arriva dai nuovi media, e quindi riesce ancora a difendersi approdando anch'essa sul web e puntando essenzialmente sugli approfondimenti, oltre che sulla semplice informazione.

La televisione rimane quindi il focolare domestico degli italiani, che ad essa maggiormente accedono per attingere informazioni ed intrattenimento.

Accanto ad essa però guadagna sempre più adesioni internet, che in Europa ha già guadagnato il secondo posto, configurandosi come un'inesauribile fonte di ricerca di notizie di attualità sia nazionali che internazionali, per la sua naturale vocazione di media globale e senza frontiere.

Con riferimento quindi ai principali mezzi di comunicazione nostrani, quali sono: televisione e radio, non si può pensare di privatizzare il servizio di informazione pubblica, attualmente svolto dalla RAI, senza prevedere i possibili risvolti negativi dell'operazione, che inciderebbe sia sul livello culturale delle trasmissioni che sulla omologazione delle stesse, che finirebbero per essere programmate prevalentemente in funzione dell'audience e, di conseguenza, del pacchetto pubblicitario  da raccogliere.

Nondimeno, va ripensato l'assetto gestionale e funzionale complessivo dell'azienda, nonché il relativo numero dei  canali gestiti.

Per la sua funzione sociale, il finanziamento dell'azienda dovrebbe essere a carico della fiscalità generale, in modo da svincolare la stessa dalla necessità di ricorrere al supporto della pubblicità e quindi alla rincorsa dell' audience a tutti i costi, cosa che ha contribuito al progressivo degrado dei programmi della RAI, specie quelli televisivi, allineatisi del tutto o quasi a quelli delle TV commerciali.

Per arricchire poi il mercato audiovisivo nazionale e, nel contempo, impedire la creazione di monopoli nel settore dell'informazione, sarebbe opportuno ridurre a due i canali radiotelevisivi RAI, con gestione operativa da affidare a due distinti direttori di rete, designati rispettivamente uno dalla maggioranza parlamentare e l'altro dalla minoranza parlamentare, in modo da creare una sana e produttiva competizione di programmi ed una informazione più equilibrata, evitando possibilmente sovrapposizioni di programmi dello stesso genere sui due canali, e questo sotto la supervisione del Direttore Generale dell'azienda,

Per economia, entrambi i canali dovrebbero far riferimento ad un unico corrispondente, per ciascuno dei paesi collegati, per i servizi di cronaca e politica estera e dovrebbero far capo ad un'unica azienda (RAI), amministrata da un Consiglio di Amministrazione composto da soli tre membri: uno in rappresentanza della maggioranza, uno in rappresentanza della minoranza parlamentare più il Presidente del C.d.A., nominato direttamente dal Presidente della Repubblica, a sua insindacabile scelta.

Allo stesso modo, e sempre per evitare pericolose concentrazioni di potere nel settore dei media, la stessa riduzione dovrebbe essere imposta anche ai gestori privati, con appositi interventi legislativi atti a limitare a due soli canali radiotelevisivi + un  quotidiano + un periodico la quota massima detenibile dai gestori privati nel campo dell'informazione e comunicazione di massa.

In alternativa ai canali radio - televisivi si potrebbero avere altrettante testate di quotidiani e/o periodici.

Vale anche la pena di sottolineare che nel settore dell'informazione il valore economico di una azienda è fatto da una struttura fissa (cosiddetto hardware) e da un capitale umano (cosiddetto software) il cui valore aggiunto può superare notevolmente quello strutturale per cui, nelle acquisizioni e passaggi di mano di dette aziende, sarebbe opportuno garantire, legislativamente, la salvaguardia della linea editoriale dell'azienda da interessi partigiani della nuova proprietà, a meno che la redazione aziendale non sia disposta ad accettare variazioni  alla precedente linea editoriale.

Infine, come extrema ratio, dovrebbe sempre essere possibile il ricorso delle maestranze al diritto di prelazione sull'azienda, da inserire  espressamente nello Statuto dei Lavoratori (Legge 300/1970).

   Amaro

Previdenza ed Assistenza

In ambito previdenziale sembrano maturi i tempi per operare la omogeneizzazione dell’intera normativa tra il settore pubblico e privato, in relazione almeno alle aliquote di contribuzione obbligatoria ed alla modalità di liquidazione della stessa pensione, fermo restante la possibile differenziazione nella definizione dell’età pensionabile di alcune categorie soggette a lavoro usurante.

In merito alla soglia dell’età di pensionamento, non si può ignorare che l’età media di vita raggiunta in Italia, sia maschile (78 anni)  ed ancor più femminile (84 anni), si sia allungata, per cui andrebbe  riequilibrato il bilancio della previdenza, fissando una soglia minima dell’età pensionabile, non inferiore ai 65 anni di età.

Nell’ambito del sistema generale del regime pensionistico si potrebbero introdurre ipotesi di flessibilità, che tengano conto di concreti problemi sociali legati, oltre che ai lavori usuranti, all’ inabilità e/o invalidità, o perdita di lavoro non più recuperabile per via dell’età avanzata, che potrebbero consentire possibili anticipazioni  pensionistiche, qualunque sia il periodo di contribuzione maturato.

Dette anticipazioni pensionistiche, liquidate sempre col sistema contributivo, cioè in base ai contributi versati, andrebbero erogate dietro specifica richiesta degli interessati, introducendo, in tal modo, nel sistema pensionistico italiano elementi di flessibilità certamente apprezzabili a livello sociale.

In quest’ottica di omogeneizzazione tra settore pubblico e privato, si ravvisa quindi l’opportunità di unificare la gestione della previdenza sotto un unico ente pubblico, al quale peraltro potrebbe essere affidata anche l’erogazione dell’assistenza.

In quest’ultimo caso però andrebbe distinta la gestione della previdenza, alimentata dai contributi dei lavoratori e dei datori di lavoro, da quella dell’assistenza, che dovrebbe gravare sulla fiscalità generale, in modo da avere un quadro esatto sull’andamento della previdenza per operare su di essa gli opportuni interventi correttivi a garanzia degli attuali e futuri pensionati.

   Amaro

Il Sistema Sanitario ed Assicurativo

Quello sanitario è un settore molto delicato perché riguarda la salute pubblica che lo Stato deve assicurare ad ogni cittadino, indipendentemente dal suo contributo economico apportato al sistema sanitario nazionale, per cui è logico che venga gestito prevalentemente dallo Stato in strutture pubbliche, al cui personale dovrebbe essere vietato l’esercizio della libera professione se ingaggiato a tempo pieno, consentita invece al personale ingaggiato a tempo parziale, purchè esercitata nell’ambito della struttura di appartenenza, sotto il controllo professionale e fiscale della stessa.

La provvista finanziaria dello Stato alle regioni, per il suddetto servizio sanitario, dovrebbe essere commisurata agli abitanti residenti in ciascuna di esse, in ragione di un costo standard pro capite unico per tutta l’Italia.

E sempre nell’ ottica di economia e controllo pubblico dei prezzi nel settore farmaceutico, cui tutti sono involontariamente soggetti per necessità di salute e non per voluttà, forse sarebbe opportuno liberalizzare le concessioni delle farmacie, alla stregua di qualsiasi altra attività commerciale, o quantomeno aprire in ciascun centro urbano almeno una farmacia a gestione pubblica ed a prezzi controllati, da affiancare possibilmente alle singole strutture ospedaliere ove queste esistono, che faccia da confronto e da calmiere per i prezzi dei medicinali.

A completamento di quanto innanzi, sarebbe inoltre opportuno vincolare i medici di base convenzionati col sistema sanitario nazionale alla  prescrizione esclusiva di medicinali riportati nel prontuario approvato dal Ministero della Sanità, affiancati da relativi prezzi di riferimento, onde contrastare le possibili connivenze tra medici di base e case farmaceutiche. 

Accanto alle strutture sanitarie pubbliche possono operare anche studi medici e strutture sanitarie private, a condizione che tra i due settori: pubblico e privato, non ci sia commistione di sedi, attrezzature e personale operativo.

Strettamente connesso al settore della sanità è quello dell’assicurazione contro i rischi di malattie e/o infortuni da lavoro, ai quali dovrebbero essere assimilati anche i rischi di infortuni derivanti da incidenti automobilistici stradali, in quanto entrambi i rischi sono assoggettati ad assicurazione obbligatoria, per cui non si vede la ragione del diverso sistema assicurativo ai quali sono soggetti.

Pertanto si ritiene opportuno convogliare detti rischi in un unico sistema assicurativo obbligatorio che, per sua stessa natura, nonché per facilitare il controllo statistico dei casi registrabili a livello nazionale, andrebbe gestito da un unico ente a controllo pubblico, in modo da garantire agli assicurati lo stesso trattamento, su tutto il territorio nazionale, oltre a ridurne i costi gestionali.

 

   Amaro

La Pubblica Amministrazione

Nel merito della pubblica amministrazione va detto che il nostro è un paese inceppato sia per la mole e farraginosità delle norme amministrative che per l’atteggiamento degli operatori della pubblica amministrazione percepita dal cittadino, il più delle volte, più come controparte che come istituzione al suo servizio; senza contare i casi di vere e proprie vessazioni e soprusi perpetrati da funzionari zelanti ai danni  di cittadini indifesi.

Quindi per recuperare la funzionalità  della pubblica amministrazione primo intervento da attuare sarebbe quello di un cospicuo snellimento della relativa legislazione, da coordinare e riassumere successivamente in un Testo Unico della Pubblica Amministrazione.

Secondariamente, andrebbe introdotto nella legislazione amministrativa la responsabilità civile, in solido, dell’istruttore della pratica e del relativo capo ufficio, nei confronti del cittadino titolare della stessa, in modo da rimuovere qualsiasi motivo di inerzia volontaria od involontaria degli operatori amministrativi nell’assunzione di responsabilità inerenti la propria funzione amministrativa.

Per rimuovere infine la rendita di posizione acquisita dai vari direttori compartimentali, non sarebbe male se, ad ogni cambio di guardia al vertice delle amministrazioni periferiche (Regioni, Province, Comuni) e centrale (Governo e relativi Ministeri), i neoeletti responsabili politici potessero avvalersi di persone di propria fiducia, nonchè di provata esperienza e capacità manageriale, alla Direzione Generale dell'Ente o dicastero presieduto; figura extra organico ordinario, da ingaggiare con contratto temporaneo, commisurato al periodo effettivo di vita del nuovo mandato istituzionale.

Per ridurre poi le cospicue spese, legate all’eccessivo numero di addetti alla Pubblica Amministrazione, andrebbe individuata una pianta organica di riferimento per ciascun tipo di amministrazione pubblica, in relazione sia ai compiti istituzionali ad essa affidati che alla popolazione servita, in modo da evitare gravami troppo onerosi a carico della collettività ed, inoltre, non sarebbe male inserire nel contempo nel comparto pubblico il principio della mobilità, almeno in ambito provinciale e/o regionale, in modo da tenere sempre alto il coefficiente di utilizzazione del personale addetto alla pubblica amministrazione, fermo restante il numero complessivo degli addetti ai lavori.

E non meno importante è l'enorme recupero di spesa, legata a mezzi, apparecchiature e materiale d'uso nella pubblica amministrazione, che potrebbe venire dalla gestione centralizzata dei fornitori di riferimento, selezionati a livello nazionale in base a qualità e prezzi della merce fornibile, ai quali le varie amministrazioni dovrebbero essere tenute a rivolgersi per i propri acquisti, in base alla distribuzione annuale di bollettini di approvvigionamento, specifici per ciascun settore merceologico, in cui siano riportati: Codice della merce, Denominazione della stessa, Prezzo unitario e Ditta fornitrice.

In ultimo, ma non per importanza, onde disboscare la giungla delle retribuzioni nel pubblico impiego e poter controllare le spese correnti di tutto il comparto pubblico, s’impone l’introduzione di una parametrazione funzionale e retributiva unica per tutto il pubblico impiego, sia di pertinenza statale che degli Enti periferici (Regioni, Province, Comuni ed assimilati), annullando, peraltro, tutti i meccanismi automatici di progressione sia di carriera che stipendiale, per ricondurre tutta la problematica nell’alveo del contratto nazionale unico del pubblico impiego, in modo da conservare inalterata la forbice stipendiale tra il mimino e massimo livello funzionale (inserviente generico e Presidente della Repubblica) e rendere nel contempo più intelligibile e controllabile sia la spesa  relativa alle singole istituzioni pubbliche che quella complessiva dello Stato.

   Amaro

Il Potere Legislativo

Entrando nel merito dei poteri statuali contemplati nella nostra Costituzione, penso che la previsione dei tre poteri (Esecutivo – Giudiziario - Legislativo) distinti ed autonomi sia ancora attuale e condivisibile, salvo aggiornamento con i correttivi di cui appresso.

Attualmente in Italia il potere legislativo è affidato al Parlamento, costituito attualmente da un sistema bicamerale paritario di Camera     (630 Deputati) e Senato (320 Senatori), che non risponde più alle esigente dei tempi ed al ritmo della vita moderna, per la sua farraginosità e lentezza operativa, per cui andrebbe sostituito con un sistema monocamerale, composto possibilmente da un congruo numero di parlamentari (massimo 510 parlamentari eletti in ragione di 1/100.000 elettori, a fronte di 51 milioni di aventi diritto al voto nel 2013) comunque notevolmente inferiore al numero attuale (630 + 320 = 950), in modo da avere un’assemblea legislativa più snella e funzionale, che consentirebbe di rendere molto più spedito l’iter legislativo, nonché di conseguire una consistente economia di bilancio gestionale dello stesso organo istituzionale.

Al Parlamento vanno affidate le seguenti funzioni:

  1. approvazione della fiducia iniziale al nuovo Governo;
  2. costituzione delle Commissioni e Gruppi Parlamentari;
  3. Approvazione dei bilanci di previsione e di consuntivo;
  4. legiferazione  in merito a tutti i settori della vita pubblica e privata del paese, in ordine ad un regolamento interno, la cui osservanza è affidata al Presidente, eletto in seno all'assemblea parlamentare.

In particolare per l'elezione del Presidente va richiesta la maggioranza dei 2/3 dei suoi componenti nella prima votazione, la maggioranza dei 2/3  dei votanti nella seconda e terza votazione, la maggioranza assoluta. dalla quarta votazione in poi.

L’iniziativa legislativa dovrebbe spettare:

  • ai singoli gruppi parlamentari, a mezzo dei rispettivi capigruppo;
  • al Governo a mezzo di uno qualsiasi dei singoli ministri;
  • direttamente al popolo, a mezzo di proposta legislativa sottoscritta da almeno 1/1000 del totale degli  aventi diritti al voto dell’ultima elezione politica, con obbligo, in questo caso, di discussione e licenziamento della proposta legislativa nell’arco massimo di 6 mesi, previa votazione palese, ed approvazione "de facto" nel caso trascorrano inutilmente i 6 mesi previsti.

Quest’ultimo tipo di iniziativa legislativa, alquanto delicata quanto importante, si è resa necessaria per la difesa della sovranità popolare, in materie di concorrenza tra interessi generali del paese ed interessi specifici della classe politica, nei confronti della quale il popolo, attualmente, ha scarse possibilità di difesa.

Per la discussione ed approvazione dei bilanci di gestione dello Stato, distinto in sottobilanci inerenti la gestione dei singoli organi istituzionali e dicasteri della Pubblica Amministrazione, sarebbe opportuno allargare l’assemblea legislativa alla partecipazione di tutti i componenti sia del Consiglio dei Ministri che del Consiglio Superiore della Magistratura.

Ai parlamentari dovrebbero essere assicurati, gratuitamente, tutti i servizi necessari all’espletamento del loro mandato, oltre ad una congrua indennità, rientrante comunque nell’ambito della scala parametrica relativa al comparto del pubblico impiego, nel quale dovrebbero rientrare tutte le istituzioni ed amministrazioni dello stato, nessuna esclusa. Di contro agli stessi dovrebbe essere impedito, durante il mandato parlamentare, di ricoprire altre cariche elettorali a livello periferico di: Comuni, Province e Regioni,

 

Per evitare, infine, la deriva della funzione  parlamentare e lo snaturamento della stessa in una professione a vita, sarebbe opportuno garantire un ricambio dei rappresentanti parlamentari, limitando nel tempo il loro mandato, onde evitare quelle incrostazioni di potere, che hanno impedito di far luce su molti accadimenti tragici della storia italiana.

In quest’ottica, già circola nei corridoi parlamentari una ipotetica proposta di limitare il mandato parlamentare a sole 2 o 3 legislature,   ma penso che questa proposta non esaurisca la generale problematica legata alla elezione di giovani parlamentari, magari, appena usciti dai banchi di scuola per andare ad occupare i banchi  parlamentari, in quanto la funzione parlamentare è delicata ed importantissima perchè nel Parlamento si decide il destino della nazione e quindi indispensabili sono le doti ed esperienze civiche, sociali e professionali dei suoi componenti, che certamente fanno difetto ai giovani. Oltretutto c'è il rischio, non tanto peregrino, che il Parlamento diventi solo un'opportunità per raggiungere una posizione di sicurezza reddituale e sociale a cui, dopo la decadenza parlamentare, sarebbe difficile rinunciare per rientrare nella vita civile dei comuni mortali; di qui la conseguente naturale ricerca di eventuali imboscamenti in incarichi politici e/o istituzionali di varia natura,  ma sempre sul groppone dei contribuenti.

Per cui la soluzione più appropriata al problema sarebbe quella di elevare la soglia minima di età  per l’accesso al Parlamento ad almeno 60 anni, in modo da far acquisire ai candidati un’adeguata esperienza in ambito sociale, politico, nonché professionale, da utilizzare proficuamente nel corso del loro mandato parlamentare e consentire, nel contempo, agli elettori di avere sufficienti elementi di valutazione in merito alla loro condotta morale, impegno civico e valenza professionale.

Questa soluzione potrebbe assicurare al Parlamento il necessario ricambio biologico naturale, senza mortificare i parlamentari bravi ed operosi col  ricorso alla famigerata limitazione del loro mandato parlamentare, e recuperare, sulla scorta di maturità, saggezza e competenza legiferativa, lo scollamento esistente tra paese reale e classe politica.

   Amaro

Istruzione e Ricerca

Istruzione

A mio avviso, la funzionalità di questo settore, assieme a quello della giustizia, sono  gli indicatori più significativi del grado di civiltà di un popolo e, purtroppo, l’Italia lascia a desiderare sia nell’uno che nell’altro settore.

Ciò premesso, è inequivocabile che l’istruzione è alla base della formazione di una società, per cui ad essa va dedicata la massima attenzione e risorse adeguate, per garantire a tutti un’istruzione di base all’altezza dei tempi.

L’intero percorso formativo andrebbe distinto in due fasce consecutive:

  • prima fascia obbligatoria, a copertura dell’arco di età fino a 15 anni, frazionabile indicativamente in: 3 anni di asilo nido più 2 anni di scuola materna, ai quali seguono 5 anni di istruzione primaria + 3 anni di istruzione secondaria + 2 anni di qualificazione professionale in arti e mestieri, al termine del quale si consegue la licenza di scuola obbligatoria che dà diritto di accesso al mondo del lavoro con qualifica di 1° livello;
  • seconda fascia facoltativa, che preveda  altri 3 anni di istruzione terziaria, distinta negli indirizzi: umanistico, scientifico, artistico e tecnologico, al termine della quale si consegue il diploma specifico, che dà diritto di accesso al mondo del lavoro, con qualifica di 2° livello, oltre che accesso ai corsi universitari di laurea attinenti all'area di riferimento di ciascun indirizzo frequentato.

L’istruzione obbligatoria deve tendere a fornire agli utenti educazione civica, cultura e formazione di base, oltre a scoprirne le vocazioni attitudinali ed artistiche in modo da indirizzare ciascuno verso la professione più appropriata.

L’istruzione dell’obbligo quindi, per la sua funzione e delicatezza, andrebbe realizzata a tempo pieno (mattina e pomeriggio), possibilmente, a cura e spese dello Stato che, oltre alle strutture, con annesse attrezzature ed arredo, ed al personale, dovrebbe fornire gratuitamente: mensa, libri, cancelleria e materiali vari di consumo.

Gestita in questo modo, la fascia dell’obbligo, oltre a svincolare l’accesso all’educazione ed alla formazione di base degli alunni da possibili condizioni di indigenza ed eventuali problematiche familiari, nello stesso tempo, contribuirebbe a ridurre drasticamente il fenomeno dell’abbandono scolastico in età dell’obbligo e, cosa ancor più rilevante, a sottrarre manovalanza minorile alla criminalità e quindi a ridurre ai minimi termini la micro criminalità.

La successiva fascia facoltativa, articolata nei cinque indirizzi  di istruzione secondaria superiore di cui innanzi, seguiti o meno da eventuali corsi universitari di laurea deve tendere, invece, a specializzare in arti, mestieri e professioni gli utenti, in modo da prepararli ad affrontare con competenza e professionalità il mondo del lavoro e la vita sociale in generale.

Questa, diversamente dalla prima, andrebbe affidata ad istituzioni private, sempre sotto controllo pubblico e con il sostegno esterno dello Stato, in termini di buoni libro e rimborso spese di: tasse, rette e viaggi, oltre all’assegnazione di borse di studio e/o posti alloggio in appositi convitti, a favore di elementi meritevoli per profitto e condizioni economiche disagiate.

A conclusione, si evidenzia che nel settore scolastico, più che in altri,  è applicabile il rapporto lavorativo diversificato (Full-time e Part-time) in quanto accanto alla presenza di un consistente numero di docenti di sesso femminile con impegni familiari, esercitano la docenza anche molti professionisti impegnati professionalmente anche  fuori ed oltre la scuola per cui, oltre che opportuno, sarebbe anche più che giustificato limitare l’esercizio della libera professione ai soli docenti impegnati part-time, in modo da creare spazio occupazionale anche per altri docenti, con l’obiettivo di una più equa ripartizione del lavoro nel settore scuola..

L’ipotesi di cui innanzi sarebbe naturalmente accettabile specie se introdotta in un quadro di revisione globale del  settore, che comporti accanto all’aumento dell’orario cattedra dei docenti, da 18 a 24 ore settimanali (+ 33%), uniformando in tal modo l’orario cattedra di tutte le scuole di ogni ordine e grado, anche l’aumento del relativo stipendio, di almeno il 25%, per tener conto delle giustificate lagnanze economiche di questa categoria, senza peraltro appesantire il bilancio dello Stato, in quanto la riforma sarebbe a costo zero.

Per quanto attiene infine alla carriera dei docenti ed alla loro valutazione, non sarebbe male svincolare la carriera dagli automatismi che fanno lievitare periodicamente il loro livello stipendiale e sostituirlo con un premio di produzione annuale, legato alla valutazione indiretta dei docenti, ricavata indirettamente dai risultati delle prove d’esame finale di ciascun anno scolastico cui sottoporre gli alunni di ciascuna classe, ad ogni livello scolastico.

In particolare la valutazione di ciascun docente di una determinata disciplina potrebbe essere dedotta dai risultati medi d’esame delle relative classi ed a questa valutazione si potrebbero legare i premi di produzione annua in denaro, che andrebbero a differenziare il livello stipendiale annuo di ciascun docente.

Detto tipo di valutazione oltre ad avere il supporto di prove oggettive, eviterebbe il ricorso  a umilianti valutazioni dirette tra colleghi, che scontano sempre la soggettività degli operatori.

Ricerca

Questo settore costituisce la  frontiera più avanzata dell’ istruzione di un popolo, ed oggi, più che mai, è vista come l’unica ancora di salvezza per uscire dall’attuale impasse  economico – commerciale in cui versa il mondo occidentale.

Nel merito, si potrebbe pensare ad una ricerca pubblica, limitata ad alcuni settori di prioritario interesse nazionale (quali ad es. energetico, sanitario, farmaceutico, ecc.)  commissionata ad istituzioni pubbliche e/o private, sotto il coordinamento e controllo di un comitato scientifico nazionale, di supporto al ministero competente, nella quale possa concorrere, accanto al capitale pubblico, anche capitale privato. 

  Amaro

Elezione e funzioni del Presidente della Repubblica

Nel sistema politico italiano il Presidente della Repubblica è il capo dello stato e rappresenta l’unità nazionale, così come stabilito dalla Costituzione italiana entrata in vigore il 1° gennaio del 1948.

Ai sensi dell’art. 83 della Costituzione, il Presidente della Repubblica è un organo costituzionale eletto dal Parlamento bicamerale in seduta congiunta, integrato da rappresentanti delle Regioni (tre per ognuna di esse, ad eccezione della Valle d’Aosta che ha un solo rappresentante) e dura in carica sette anni.

Per garantire un consenso, il più ampio possibile, intorno a quest’'istituzione di garanzia, nelle prime tre votazioni è richiesta la maggioranza qualificata dei 2/3 dell'assemblea; mentre per le votazioni successive è sufficiente la maggioranza assoluta.

Il Presidente è il garante supremo della Costituzione e rappresenta l'unità nazionale, con tutte le prerogative tipiche del capo di Stato. La sua carica è super partes rispetto ai tre poteri statuali (Esecutivo - Giudiziario - Legislativo)  previsti per la gestione nazionale,

In base all'art. 87 della Costituzione, il Presidente è anche il  Comandante supremo delle forze armate (Aeronautica - Esercito - Marina) e come tale presiede il Consiglio supremo di difesa e dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere. Tra le altre funzioni e poteri attribuiti al Presidente, particolare rilievo meritano: la funzione di presiedere  il Consiglio Superiore della Magistratura, organo di autogoverno della Magistratura (art. 104), e  la  potestà di sciogliere una o entrambe le Camere parlamentari in caso di necessità (art. 88).

VARIANTI PROPOSTE:

  1. Nell’elezione del Presidente a camere congiunte si potrebbe fare a meno della integrazione con i rappresentanti regionali, se e solo se i rappresentanti parlamentari fossero stati candidati unicamente nel collegio elettorale di origine o di residenza, quindi già si per sè rappresentanti delle varie regioni italiane. In alternativa si potrebbe ampliare la base elettorale integrando i parlamentari con i componenti del Governo (Ministri), del Consiglio Superiore della Magistratura e della Corte Costituzionale.
  2. Nella sua veste di supremo custode della Costituzione, sarebbe logico riconoscere al Presidente il diritto di presiedere direttamente, o indirettamente mediante persona qualificata di sua insindacabile nomina, la Corte Costituzionale, così come sarebbe altrettanto logico promuovere un controllo preventivo di legittimità costituzionale  su tutte le leggi licenziate dal Parlamento, prima dell’ apposizione della sua controfirma e la promulgazione delle stesse, onde evitare i danni conseguenti alla applicazione di leggi incostituzionali (come ad es. l’attuale legge elettorale, denominata porcellum) e salvaguardare, nel contempo, la dignità della figura presidenziale, anche nei confronti degli attuali possibili rifiuti del Parlamento a recepire i suoi suggerimenti in tema di legittimità costituzionale.
  3. Di contro, sarebbe opportuno che il Presidente non avesse alcuna rappresentanza nel Consiglio Superiore della Magistratura, rappresentando questo la massima espressione del potere giudiziario, in modo da tenere l’istituzione presidenziale al di fuori e al di sopra dei singoli poteri istituzionali.
  4. Nella veste di Comandante supremo delle forze armate, al Presidente andrebbe riconosciuto inoltre il diritto di designare il  Capo di stato maggiore della difesa (vertice militare delle FF.AA.)  e di indicare una rosa di almeno tre candidati per la nomina a  Ministro della Difesa, dalla quale il Presidente del Consiglio neoeletto potrebbe scegliere, a suo insindacabile giudizio, la persona a cui affidare la carica politica. 
  5. Allo stesso modo, per separare quanto più possibile il potere esecutivo da quello giudiziario, sarebbe opportuno che la nomina del Ministro di Grazia e Giustizia non fosse di pertinenza incondizionata del Presidente del Consiglio, bensì fosse limitata all’ambito di una rosa, di almeno tre candidati, proposti sempre dal Presidente della Repubblica, di concerto col Consiglio Superiore della Magistratura. In questo caso potrebbe essere lo stesso Ministro di Grazia e Giustizia a presiedere, direttamente od indirettamente, il Consiglio Superiore della Magistratura.

In conclusione la nuova architettura istituzionale dovrebbe essere la seguente:

  Amaro

Modelli di Democrazia

Con tutti i difetti che possono presentare i vari sistemi democratici adottati nel mondo, essi sono comunque da preferire a qualsiasi sistema totalitario.

Fatta questa premessa d’obbligo, la democrazia, dal greco démos (popolo) e cràtos (potere), etimologicamente significa ”governo del popolo”, ovvero sistema di governo in cui la sovranità è esercitata, direttamente o indirettamente, dal popolo.

Nell’ambito delle democrazie indirette o rappresentative poi si distinguono prevalentemente tre modelli: presidenziale (del tipo statunitense), semipresidenziale (del tipo francese) e parlamentare (del tipo italiano).

  • Nella repubblica presidenziale il potere esecutivo è affidato el Presidente. che è sia Capo del Governo che dello Stato.  Questi è eletto con voto popolare distinto ed autonomo rispetto a quello del Parlamento, per cui il suo governo non ha bisogno del voto di fiducia parlamentare. Al Parlamento, eletto indipendentemente dal Presidente, è affidato in esclusiva il potere legislativo.  Questa netta divisione funzionale tra Parlamento e Presidente si riflette nella reciproca insindacabilità politica tra i due organi; infatti il Parlamento non può far decadere il Presidente e questi non può, a sua volta, sciogliere il Parlamento. E' appunto la separazione netta dei poteri il principio cardine che garantisce democraticità a questa forma di governo.

  • Nella repubblica semipresidenziale il Presidente della Repubblica è eletto sempre con voto popolare distinto ed autonomo rispetto a quello del Parlamento, per cui non può essere rimosso con sfiducia parlamentare, mentre egli può, nei limiti previsti dalla Costituzione, sciogliere il Parlamento. Egli rappresenta il Capo dello Stato ed ha il potere di nomina del Capo del Governo, il quale ha bisogno, insieme ai membri del suo esecutivo, anche della fiducia parlamentare. In tale contesto quindi, il potere esecutivo, anche se pilotato dal Capo del Governo, è vincolato a seguire la linea politica imposta dal Presidente della Repubblica, pena la sua stessa rimozione.

  • Nella repubblica parlamentare il popolo è chiamato ad esprimere solo un voto di indirizzo politico generale, mediante l'elezione dei suoi rappresentanti parlamentari, ai quali è demandata la successiva elezione sia del Capo del Governo che del Presidente della Repubblica.

L’Italia, come previsto dalla Carta Costituzionale promulgata il 27/12/1947, è appunto una repubblica parlamentare e quindi, formalmente, dovrebbe essere una democrazia indiretta o rappresentativa, in quanto il popolo governa mediante i propri rappresentanti parlamentari, eletti a suffragio universale.

Ciononostante, negli ultimi 20 anni è stata introdotta, surrettiziamente, una forma di premierato strisciante, con l'indicazione esplicita del candidato alla guida del Governo abbinato all’elezione dei parlamentari.

Per cui, anche se la nostra resta costituzionalmente ancora una repubblica parlamentare, di fatto, col sistema elettorale in uso, che consente di conoscere a priori il nome del candidato premier di ciascuna coalizione elettorale, il nostro paese si è spinto oltre il sistema rappresentativo parlamentare, introducendo un nuovo modello di democrazia indiretta o rappresentativa: quello del premierato, made in italy.

 Amaro

Fiscalità Generale

La Costituzione, come è logico, prevede che ogni cittadino debba concorrere alle spese di gestione del complesso apparato statale, in rapporto alle proprie capacità  contributive.

In quest’ottica, la soluzione più equa  e razionale sembra essere quella di assoggettare ad imposte dirette nazionali i redditi di qualsiasi natura e provenienza, prodotti da attività svolte sul territorio nazionale, secondo aliquote progressive, che comunque non superino, complessivamente, la soglia del 33% del reddito imponibile, eliminando, per quanto possibile, quelle indirette; questo sia per dare un quadro di riferimento chiaro e certo della contribuzione personale di ciascun cittadino, sia per il recupero di una maggiore equità fiscale, in quanto le imposte indirette incidono in misura uguale su tutti i cittadini, abbienti o meno.

A proposito della imposizione diretta, sarebbe opportuno basare la stessa sul quoziente reddituale pro capite del nucleo familiare, a fronte di una dichiarazione annuale unica per ciascun nucleo familiare, in modo da spalmare il reddito familiare complessivo sul numero dei suoi componenti, da tassare poi singolarmente con le aliquote progressive di cui innanzi, a fronte dell’abolizione delle varie voci di deduzione e/o detrazioni oggi previste nella dichiarazione annuale dei redditi.

L’introduzione di una impostazione del genere  nel sistema fiscale nazionale, oltre che rispondere ad un’esigenza tecnica di semplificazione e chiarezza dello stesso,  risponderebbe anche alla esigenza di rapportare il prelievo fiscale, non solo al reddito familiare, considerato asetticamente, ma anche alle effettive necessità dello stesso nucleo, in dipendenza del numero complessivo dei suoi componenti, questo in ossequio ad un acquisito principio di solidarietà sociale, che dovrebbe animare tutte le società evolute e modernamente organizzate.

Lo sgravio fiscale che ne deriverebbe per i  nuclei familiare favorirebbe, in tal modo, la costituzione degli stessi e la crescita del loro numero, invertendo l’attuale andamento demografico decrescente, causato da una inadeguata politica di sostegno familiare fin qui perseguita.

L’imposta di cui innanzi dovrebbe essere onnicomprensiva, quindi incompatibile con qualsiasi altra imposta (comunale, provinciale o regionale) onde evitare, oltre alla perdita di  chiarezza e certezza del quadro fiscale, causa di conseguente perdita di fiducia da parte del contribuente, possibili sperequazioni fiscali tra  cittadini residenti in diverse regioni della stessa nazione, o addirittura in diverse città della stessa regione.

A questi Enti periferici (Comuni, Province, Regioni) andrebbero riconosciute solo ed esclusivamente tasse per la copertura di spese relative a servizi realmente erogati alla cittadinanza, come la raccolta dei rifiuti solidi urbani, l’illuminazione pubblica e la manutenzione della rete stradale cittadina e delle reti di raccolta di acque reflue e meteoriche, se gestite direttamente o indirettamente dai Comuni.

Accanto ad un regime di tassazione ordinaria del tipo accennato, penso che andrebbe studiata una mirata politica fiscale a salvaguardia e difesa dei piccoli centri montani, per evitare il loro definitivo spopolamento ed invertire, possibilmente, il processo di urbanesimo  registrato nella seconda metà del secolo scorso, introducendo per gli abitanti di questi centri un appropriato sgravio fiscale, di pertinenza statale, oltre ad assicurare l’erogazione di tutti i servizi base, essenziali per la loro civile vivibilità.

  Amaro