Il 1° comma dell'art. 1 della Costituzione italiana testualmente recita: «L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro» volendo significare che il lavoro è un diritto che la Costituzione riconosce formalmente a tutti i cittadini, anche se, di fatto, finora non è stato mai possibile garantire lavoro a tutti, lasciando permanentemente in lista d'attesa frange più o meno consistenti di cittadini, specie della fascia giovanile e, per di più, di genere femminile.
Dopo la positiva fase trentennale protrattasi fino agli anni 70 del secolo scorso, dovuta alla ricostruzione postbellica prima ed allo sviluppo industriale poi, legato prevalentemente allo sviluppo della rete ferroviaria ed, ancor più, a quello della rete autostradale, sulla spinta dell'industria automobilistica che invadeva il mercato nazionale di autovetture per il trasporto privato e misto, oggi la situazione è tornata ad aggravarsi notevolmente, sia in Italia che in Europa, dove è in atto una pesante congiuntura economica, per cui il tasso di disoccupazione cresce ovunque sempre di più, con riflessi sociali preoccupanti.
Quella attuale, purtroppo, non è una congiuntura di passaggio, governabile col ricorso agli usuali interventi nazionali di tipo economico, finanziario e/o fiscale, tanto più che non è più percorribile nemmeno la via della svalutazione monetaria, vincolati, come siamo, alla nuova moneta unica europea ( € ).
Oltretutto le sue dimensioni travalicano i confini nazionali perché legata, oltre che a fattori interni, sempre più a fattori esterni quali:
- la concorrenza sempre più agguerrita dei paesi emergenti, specie asiatici, con in testa Cina ed India;
- la forte pressione della domanda di lavoro proveniente dai paesi dell'Est europeo, liberatisi dalla dittatura sovietica a seguito della caduta del muro di Berlino e confluiti nell'Unione Europea dove, per effetto del trattato di Schengen del 1985, è stata creata un'area di libera circolazione tra gli stati aderenti al trattato;
- la ulteriore strisciante domanda di lavoro proveniente dagli immigrati di provenienza africana e medio - orientale che, di continuo, affluiscono sulle coste italiane;
- ed infine la ristrutturazione e riconversione in atto nei paesi occidentali, come il nostro, entrati nell'era postindustriale, ad opera dalle imprese, specie quelle a carattere multinazionale, sempre più attente all' aspetto tecnico, economico e finanziario, più che a quello sociale delle loro operazioni imprenditoriali, per raggiungere il quale, non disdegnano di ricorrere alla concentrazione produttiva e all'automazione sempre più spinta dei processi produttivi, espellendo dal mondo del lavoro un numero sempre crescente di addetti.
Di fronte a questo scenario, governabile solo con organismi a carattere internazionale, che purtroppo non sono ancora disponibili perché, ahimè, lo sviluppo politico istituzionale è sempre a rimorchio di quello economico, risultano inadeguate ed insignificanti le soluzioni prospettate da sindacati e imprenditori.
Infatti, mentre dai primi viene la proposta di ridurre l'orario di lavoro giornaliero, in modo da ampliare l'area degli occupati a parità di produzione, i secondi preferiscono far fronte alla disoccupazione galoppante col ricorso ai soliti ammortizzatori sociali della Cassa Integrazione Guadagni, che grava prevalentemente sul bilancio dello Stato.
Quest'ultimo, d'altra parte, non brillando di fantasia per proposte alternative valide, more solito, si barcamena per mediare tra le soluzioni prospettate dalle contrapposte parti sociali.
Nel merito la proposta sindacale per poter essere accettata dagli imprenditori dovrebbe prevedere una corrispondente riduzione di salario in modo da poter sostenere la concorrenzialità dei prodotti italiani nel mondo, diversamente tale proposta sarebbe improponibile se circoscritta a livello europeo ed, ancor meno, se circoscritta a livello nazionale.
D'altra parte, la proposta imprenditoriale non è né originale né intelligente, perché non tiene conto del fatto che il costo finanziario degli ammortizzatori sociali della Cassa Integrazione Guadagni, scaricato formalmente sul bilancio pubblico dello Stato, viene comunque rispedito, in gran parte, al mittente, sotto forma di imposte sia dirette che indirette.
A mio avviso, invece, va rivisto il rapporto di classe tra imprenditori e prestatori d'opera (operai nella vecchia dizione); non più classi distinte ed antagoniste ma parti complementari di un'unica classe produttiva legata, da comuni interessi economici di sopravvivenza e, se possibile, di sviluppo dell'azienda.
Questo comporta una revisione sia della cultura sindacale che di quella imprenditoriale, perché si arrivi a comprendere che gli interessi degli uni sono imprescindibilmente legati agli interessi degli altri, e questo potrà avvenire solo se anche i prestatori d'opera saranno coinvolti (almeno in forma rappresentativa) nella gestione dell'impresa, riconvertendo, a loro volta, le loro richieste economiche contrattuali in quote azionarie di partecipazione al capitale societario, in modo da essere direttamente coinvolti nei risultati economici dell'impresa, con conseguente partecipazione agli eventuali utili di bilancio in rapporto alla loro partecipazione azionaria.
Questo rappresenterebbe per l'impresa una salutare iniezione finanziaria oltre che un motivo di forte incremento della produttività, basato sul recupero di motivazione sia psicologica che economica dei dipendenti i quali, dal canto loro, controllando dall'interno, i programmi e le strategie dell'impresa, avrebbero modo di salvaguardare meglio i propri interessi economici, se non addirittura i propri posti di lavoro, dal pericolo di eventuali riassetti, delocalizzazioni o, addirittura, di chiusure aziendali.
In ultimo, a salvaguardia estrema dei lavoratori, andrebbe introdotto nello Statuto dei lavoratori, recepito nella legge 300/1970, il diritto di prelazione dei lavoratori a rilevare l'azienda nel caso di dismissione o delocalizzazione della stessa.
Intanto, va preso atto che la divaricazione tra domanda ed offerta di lavoro va crescendo sempre di più, in concomitanza con la crescente globalizzazione economica per cui, al di là di proclami ed affermazioni demagogiche, non essendo più possibile far fronte alla disoccupazione con interventi a carattere nazionale, bisogna realisticamente prendere atto che la disoccupazione è un problema sociale endemico senza alcuna possibilità di soluzione assoluta.
Da questa constatazione, nasce l'esigenza di ridimensionare il riconoscimento costituzionale del diritto al lavoro per tutti i cittadini, peraltro mai realizzato dal 1948 ad oggi, limitando tale diritto, in maniera realistica e concreta, ad almeno un componente genitoriale di ciascun nucleo familiare, a sostegno del quale andrebbero ulteriormente riconosciuti adeguati assegni per i familiari a carico privi di reddito, in modo da garantire a ciascuna famiglia almeno un reddito da lavoro produttivo e con esso la dignità di partecipazione attiva al progresso ed alla crescita del paese.
In queste condizioni verrebbe naturalmente a perdere di significato l'istituto della Cassa Integrazione Guadagni, con possibile recupero finanziario da parte dello Stato e di rimando delle stesse Aziende, che alimentano attualmente la C.I.G.
Nell'ambito del nostro paese quest'obiettivo sarebbe perseguibile con l'adozione dei seguenti provvedimenti:
- ripristino, specie nel settore pubblico, del doppio turno lavorativo, in modo da poter dedicare al pubblico tutta la mattinata, con orari di servizio più comodi sia per il pubblico che per gli stessi addetti ai lavori, e riservare il pomeriggio al lavoro d'ufficio per il disbrigo delle pratiche, in modo da ridurre la disponibilità oraria pomeridiana dei dipendenti, per devitalizzare il loro ricorrente impiego in attività sussidiarie, svolte prevalentemente in nero, con la doppia dannosa conseguenza di ridurre la disponibilità lavorativa per altri disoccupati e nel contempo minare, con la loro sleale concorrenza, la sopravvivenza di aziende regolarmente autorizzate all'esercizio della propria attività e, per ciò stesso, assoggettate a tutti i costi contributivi e fiscali di legge;
- conseguente abolizione della Cassa Integrazione Guadagni, così come è oggi concepita e strutturata, e tutte le altre forme di assistenzialismo surrettizio, che non servono ad altro che ad umiliare la dignità umana delle persone oneste e ad alimentare la speculazione delle persone disoneste e sfaticate ai danni della società, potendo investire più proficuamente il relativo risparmio di spesa in opere ed attività produttive di interesse pubblico, creando così ulteriori occasioni di lavoro.
- introduzione massiccia del doppio rapporto di lavoro: Full-time e Part-time, in modo da venire incontro a diffuse esigenze, specie femminili, ed ampliare in tal modo anche la disponibilità di lavoro per altre persone in lista d'attesa.
Amaro