TERZA VIA
NAVIGAZIONE - RICERCA

Lotta all'Evasione Fiscale

In appendice alla fiscalità generale, che in Italia ha raggiunto livelli insopportabili, a causa dell’enorme ricorso ad evasione ed elusione, che oggi viaggiano sui 180 miliardi annui, vanno esaminati i rimedi, se non per azzerare questo fenomeno, almeno per ridurlo considerevolmente.

Nel merito, onde alleggerire il peso impositivo gravante sui contribuenti onesti, col recupero dell’evasione ed elusione fiscale, a mio avviso si dovrebbe far ricorso ai seguenti strumenti:

  • in primis, tenere sotto controllo tutte le utenze elettriche, in quanto non c’è attività umana che non utilizzi l’energia elettrica;
  • in secundo, ricorrere al contrasto di interessi tra prestatori d’opera e/o servizi e committenti, permettendo a questi ultimi di scaricare dal proprio reddito l’importo relativo a ricevute e/o fatture fiscali, relative a tutte le prestazioni privatistiche, sia di tipo artigianale che professionale.

Nell’ipotesi di cui innanzi, i cittadini sarebbero motivati a richiedere  ricevuta e/o fattura di quanto pagato, potendone scaricare il relativo importo complessivo, al netto di I.V.A., dalla base imponibile dei proprio reddito annuale e quindi recuperare, con relativo margine di guadagno, l’I.V.A. pagata in più nelle operazioni di acquisto o prestazione.

Questo strumento fiscale, di controllo reciproco fra i cittadini, oltre a produrre maggior gettito d’I.V.A. per lo Stato, sarebbe da stimolo anche alla richiesta di più frequenti servizi artigianali e professionali da parte dei privati.

I due strumenti di cui innanzi sarebbero più che sufficienti per recuperare una consistente aliquota di evasione, utilizzabile o per ridurre il livello di fiscalità generale o per alleggerire il debito pubblico che, secondo i dati del supplemento al bollettino statistico della Banca d’Italia, ad aprile 2014 ha superato i 2.146 miliardi di euri.

Se poi si volesse azzerare  completamente il fenomeno dell’evasione, si dovrebbe ricorrere all’uso di un rimedio estremo: l’eliminazione della moneta cartacea, con l’introduzione della moneta elettronica al suo posto, in modo da semplificare le operazioni di transazione finanziaria, salvaguardando, nel contempo,  i cittadini dal rischio di smarrimenti o/o furti di carta moneta, oltre ad eliminare il costo della stampa e ristampa della carta moneta.

Questo rimedio estremo però comporta un sistema logistico – operativo di supporto alle transazioni finanziarie, impegnando tutti i cittadini, in età di spesa, ad utilizzare una carta di credito che faccia capo ad un deposito bancario e/o postale, e tutti gli operatori commerciali, artigianali, professionali e di servizi vari a dotarsi di terminali di lettura delle suddette carte di credito.

L’impianto di tutto il sistema logistico-operativo ha, ovviamente, dei costi finanziari sia a carico dei cittadini, per la tenuta deposito presso banche e/o posta, per l’uso delle carte di credito e per le operazioni finanziarie eseguite tramite le stesse, sia a carico degli operatori commerciali, artigianali,,professionali e di servizi, per i quali va aggiunta la spesa per l’acquisto o l’uso dei terminali di lettura.

Per eliminare tutti questi gravami e rendere accettabile l’idea di questa innovazione. occorrerebbe affidare la gestione finanziaria delle transazioni ad un istituto di credito che, in virtù del recupero totale dell’evasione nazionale possa garantire tutti i servizi (di deposito salari, stipendi e compensi vari, più l’uso delle carte di credito e dei terminali di lettura, più le operazioni di transazioni finanziarie) a costo zero, e questo istituto non potrebbe che essere di natura pubblica.

Possibile che tanti soloni della politica non ci siano ancora arrivati?

Ne dubito; per cui c’è da sospettare che siano proprio loro i primi interessati all’evasione fiscale.

Nella stessa ottica di recupero fiscale, si potrebbe pensare di trasferire la competenza del rogito notarile relativo alle transazioni mobiliari ed immobiliari ad appositi funzionari dell’attuale Ufficio del Registro, presso il quale comunque va registrato l’atto, in modo da avere contezza del reale corrispettivo della transazione su cui applicare la corrispondente tassa di registro ed eliminare nel contempo una prerogativa professionale dell’ordine notarile che, oggi, non ha più alcuna giustificazione logica, se non quella di tutelare gli interessi di una specifica categoria professionale.

E proprio per evitare nicchie di privilegio, tuttora esistenti, a favore di talune altre categorie professionali, sarebbe opportuno attuare la liberalizzazione generalizzata di tutte le professioni, in modo da incrementare le offerte professionali sul mercato e creare  una maggiore concorrenza  nell’interesse generale dell’utenza.

 

   Amaro

LAVORO: Quali soluzioni?

Il 1° comma dell'art. 1 della Costituzione italiana testualmente recita: «L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro» volendo significare che il lavoro è un diritto che la Costituzione riconosce formalmente a tutti i cittadini, anche se, di fatto, finora non è stato mai possibile garantire lavoro a tutti, lasciando permanentemente in lista d'attesa frange più o meno consistenti di cittadini, specie della fascia giovanile e, per di più, di genere femminile.

Dopo la positiva fase trentennale protrattasi fino agli anni 70 del secolo scorso, dovuta alla ricostruzione postbellica prima ed allo sviluppo industriale poi, legato prevalentemente allo sviluppo della rete ferroviaria ed, ancor più, a quello della rete autostradale, sulla spinta dell'industria automobilistica che invadeva il mercato nazionale di autovetture per il trasporto privato e misto, oggi la situazione è tornata ad aggravarsi notevolmente, sia in Italia che in Europa, dove è in atto una pesante congiuntura economica, per cui il tasso di disoccupazione cresce ovunque sempre di più, con riflessi sociali preoccupanti.

Quella attuale, purtroppo, non è una congiuntura di passaggio, governabile col ricorso agli  usuali  interventi nazionali di tipo economico, finanziario e/o fiscale, tanto più che non è più  percorribile nemmeno la via della svalutazione monetaria, vincolati, come siamo, alla nuova  moneta unica europea ( € ).

Oltretutto le sue dimensioni travalicano i confini nazionali perché legata, oltre che a fattori interni, sempre più a  fattori esterni quali:

  • la concorrenza sempre più agguerrita dei paesi emergenti, specie asiatici, con in testa Cina ed India;
  • la forte pressione della domanda di lavoro proveniente dai paesi dell'Est europeo, liberatisi dalla dittatura sovietica a seguito della caduta del muro di Berlino e confluiti nell'Unione Europea dove, per effetto del trattato di Schengen del 1985, è stata creata un'area di libera circolazione tra gli stati aderenti al trattato;
  • la ulteriore strisciante domanda di lavoro proveniente dagli immigrati di provenienza africana e medio - orientale che, di continuo, affluiscono sulle coste italiane;
  • ed infine la ristrutturazione e riconversione in atto nei paesi occidentali, come il nostro, entrati nell'era postindustriale, ad opera dalle imprese, specie quelle a carattere multinazionale, sempre più attente all' aspetto tecnico, economico e finanziario, più che a quello sociale delle loro operazioni imprenditoriali, per raggiungere il quale, non disdegnano di ricorrere alla concentrazione produttiva e all'automazione sempre più spinta dei processi produttivi, espellendo dal mondo del lavoro un numero sempre crescente di addetti.

Di fronte a questo scenario, governabile solo con organismi a carattere internazionale, che purtroppo non sono ancora disponibili perché, ahimè, lo sviluppo politico istituzionale è sempre a rimorchio di quello economico, risultano inadeguate ed insignificanti le soluzioni prospettate da sindacati e imprenditori.

Infatti, mentre dai primi viene la proposta di ridurre l'orario di lavoro giornaliero, in modo da ampliare l'area degli occupati a parità di produzione, i secondi preferiscono far fronte alla disoccupazione galoppante col ricorso ai soliti ammortizzatori sociali della Cassa Integrazione Guadagni, che grava prevalentemente sul bilancio dello Stato.

Quest'ultimo, d'altra parte, non brillando di fantasia per proposte alternative valide, more solito, si barcamena per mediare tra le soluzioni prospettate dalle contrapposte parti sociali.

Nel merito la proposta sindacale per poter essere accettata dagli imprenditori dovrebbe prevedere una corrispondente riduzione di salario in modo da poter sostenere la concorrenzialità dei prodotti italiani nel mondo, diversamente tale proposta sarebbe improponibile se circoscritta a livello europeo ed, ancor meno, se circoscritta a livello nazionale.

D'altra parte, la proposta imprenditoriale non è né originale né intelligente, perché non tiene conto del fatto che il costo finanziario degli ammortizzatori sociali della Cassa Integrazione Guadagni, scaricato formalmente sul bilancio pubblico dello Stato, viene comunque rispedito, in gran parte, al mittente, sotto forma di imposte sia dirette che indirette.

A mio avviso, invece, va rivisto il rapporto di classe tra imprenditori e prestatori d'opera  (operai nella vecchia dizione); non più classi distinte ed antagoniste ma parti complementari di un'unica classe produttiva legata, da comuni interessi economici di sopravvivenza e, se possibile, di sviluppo dell'azienda.

Questo comporta una revisione sia della cultura sindacale che di quella imprenditoriale, perché si arrivi a comprendere che gli interessi degli uni sono imprescindibilmente legati agli interessi degli altri, e questo potrà avvenire solo se anche i prestatori d'opera saranno coinvolti (almeno in forma rappresentativa) nella gestione dell'impresa, riconvertendo, a loro volta, le loro richieste economiche contrattuali in quote azionarie di partecipazione al capitale societario, in modo da essere direttamente coinvolti nei risultati economici dell'impresa, con conseguente partecipazione agli eventuali  utili di bilancio in rapporto alla loro partecipazione azionaria.

Questo rappresenterebbe per l'impresa una salutare iniezione finanziaria oltre che un motivo di forte incremento della produttività, basato sul recupero di motivazione sia psicologica che economica dei dipendenti i quali, dal canto loro, controllando dall'interno, i programmi e le strategie dell'impresa, avrebbero modo di salvaguardare meglio i propri interessi economici, se non addirittura i propri posti di lavoro, dal pericolo di eventuali riassetti, delocalizzazioni o, addirittura, di chiusure aziendali.

In ultimo, a salvaguardia estrema dei lavoratori, andrebbe introdotto nello Statuto dei lavoratori, recepito nella legge 300/1970, il diritto di prelazione dei lavoratori a rilevare l'azienda nel caso di dismissione o delocalizzazione della stessa.

Intanto, va preso atto che la divaricazione tra domanda ed offerta di lavoro va crescendo sempre di più, in concomitanza con la crescente globalizzazione economica per cui, al di là di proclami ed affermazioni demagogiche, non essendo più possibile far fronte alla disoccupazione con interventi a carattere nazionale, bisogna realisticamente prendere atto che la disoccupazione è un problema sociale endemico senza alcuna possibilità di soluzione assoluta.

Da questa constatazione, nasce l'esigenza di ridimensionare il riconoscimento costituzionale del diritto al lavoro per tutti i cittadini, peraltro mai realizzato dal 1948 ad oggi, limitando tale diritto, in maniera  realistica e concreta, ad almeno un componente genitoriale di ciascun nucleo familiare, a sostegno del quale andrebbero  ulteriormente riconosciuti adeguati assegni per i familiari a carico privi di reddito, in modo da garantire a ciascuna famiglia almeno un reddito da lavoro produttivo e con esso la dignità di partecipazione attiva al progresso ed alla crescita del paese.

In queste condizioni verrebbe naturalmente a perdere di significato l'istituto della Cassa Integrazione Guadagni, con possibile recupero finanziario da parte dello Stato e di rimando delle stesse Aziende, che alimentano attualmente la C.I.G.

Nell'ambito del nostro paese quest'obiettivo sarebbe perseguibile con l'adozione dei seguenti provvedimenti:

  1. ripristino, specie nel settore pubblico, del doppio turno lavorativo, in modo da poter dedicare al pubblico tutta la mattinata, con orari di servizio più comodi sia per il pubblico che per gli stessi addetti ai lavori, e riservare il pomeriggio al lavoro d'ufficio per il disbrigo delle pratiche, in modo da ridurre la disponibilità oraria pomeridiana dei dipendenti, per devitalizzare il loro ricorrente impiego in attività sussidiarie, svolte prevalentemente in nero, con la doppia dannosa conseguenza di ridurre la disponibilità lavorativa per altri disoccupati e nel contempo minare, con la loro sleale concorrenza, la sopravvivenza di aziende regolarmente autorizzate all'esercizio della propria attività e, per ciò stesso, assoggettate a tutti i costi contributivi e fiscali di legge;
  2. conseguente abolizione della Cassa Integrazione Guadagni, così come è oggi concepita e strutturata, e tutte le altre forme di assistenzialismo surrettizio, che non servono ad altro che ad umiliare la dignità umana delle persone oneste e ad alimentare la speculazione delle persone disoneste e sfaticate ai danni della società, potendo investire più proficuamente il relativo risparmio di spesa in opere  ed attività produttive di interesse pubblico, creando così ulteriori occasioni di lavoro.
  3. introduzione massiccia del doppio rapporto di lavoro: Full-time e Part-time, in modo da venire incontro a diffuse esigenze, specie femminili, ed ampliare in tal modo anche la disponibilità di lavoro per altre persone in lista d'attesa.

   Amaro

Problema Ucraina e strabismo europeo

Il 18 aprile 1951, con il trattato di Parigi tra: Francia – Italia – Germania – Belgio – Olanda – Lussemburgo, nasceva in Europa occidentale la C.E.C.A. (Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio), il primo organismo soprannazionale, con l’intendo di unificare il mercato carbosiderurgico, eliminando sperequazioni di prezzi e tariffe nel settore.

Successivamente, il 25 marzo 1957 le stesse nazioni firmavano il trattato di Roma per dar vita alla C.E.E (Comunità Economica Europea), al fine di istituire un mercato comune europeo mediante un allineamento delle politiche economiche degli Stati membri e giungere in prospettiva all’abolizione sia dei dazi doganali interni che dei contingentamenti degli scambi commerciali interni, in modo da permettere in definitiva la libera circolazione  di persone, capitali e merci all’interno della Comunità.

Nella cornice storica del momento questo, forse, era il massimo di disponibilità che si poteva richiedere agli Stati membri aderenti ai trattati di cui innanzi, che muovevano i primi passi verso l’integrazione politica europea, alla quale miravano i promotori di detti organismi comunitari.

E’ ormai trascorso più di mezzo secolo dalla data del primo trattato, ma il progetto politico intravisto dai padri fondatori della Comunità Europea resta ancora un obiettivo da raggiungere, benché la Comunità si sia allargata fino a comprendere 28 paesi; questo perché il progetto è partito da un binario sbagliato: quello economico, che difficilmente porta all’integrazione dei popoli per le naturali divergenze di interessi in gioco.

Per cui la Comunità Europea è stata relegata al ruolo di mediatrice fra opposti interessi nazionalistici, privilegiando il più delle volte gli Stati membri ad economia forte in danno di quelli ad economia debole, nell'impossibilità di esprimere un’identità veramente soprannazionale, in grado  di svolgere un ruolo significativo a livello internazionale, come hanno recentemente dimostrato i drammatici avvenimenti della Siria e più recentemente dell’Ucraina..

Per uscire dal tunnel, forse, sarebbe opportuno puntare non ad un  processo di realizzazione rigida del progetto unitario, bensì ad un processo di realizzazione elastica, scaglionata nel tempo, partendo dall’Unione di quei Paesi che credono, fermamente, nell’Unione Europea, fondata sulla base di: un idioma comune, da affiancare alla lingua nazionale dei singoli Stati e di istituzioni governative soprannazionali, con effettivo potere politico, legislativo, esecutivo e di rappresentanza internazionale, oltre alla realizzazione della moneta unica, già operata.

Questo procedimento oltre ad accelerare la costituzione politica dell’Unione Europea, lascerebbe agli altri Paesi aspiranti, ma non ancora del tutto convinti, il tempo necessario per maturare la propria decisione, senza però, nel frattempo, consentire loro interferenze  e veti che frenino il processo di unione del gruppo di testa (vedi il ruolo ambiguo svolto finora dall’Inghilterra che, a parere dello scrivente, non sarà mai integrabile nell’U.E.).

A questo proposito è da sottolineare lo strabismo dell’Unione Europea che, a 25 anni dalla caduta del muro di Berlino (1989), tiene ancora in piedi  il Patto Atlantico, nato in funzione antisovietica e quindi, oggi, superato dalla storia, e non rivolga le sue attenzioni all’est europeo per cercare di inglobare nella comunità europea la stessa Russia ed i suoi paesi satelliti, spingendo i confini dell’Europa fino agli Urali.

Tanto più che esistono già forti interessi complementari di interscambio commerciale con la Russia, in particolare nel settore energetico, vitale per l’Europa occidentale; senza per questo voltare le spalle agli Stati Uniti d’America.

Un’operazione del genere, non solo sgonfierebbe le tensioni sorte in Ucraina, ma servirebbe a risolvere definitivamente anche il conflitto in Siria che si trascina da circa tre anni senza, previsione di sbocco.

A distanza di 70 anni dalla 2ª guerra mondiale, è maturo il tempo in cui l’Europa diventi adulta e scelga la propria strada in autonomia, pensando al suo futuro, pur senza dimenticare il passato e voltare le spalle al suo storico e fidato alleato americano.

Inglobando ulteriormente nell’U.E. gli 8 paesi candidati all’adesione (Albania - Bosnia Erzegovina - Islanda - Macedonia - Montenegro - Serbia - Turchia - Kosovo), più quelli residui della Biellorussia, Moldavia, Norvegia, Russia, Svizzera ed Ucraina, avremmo un bacino commerciale di 821 milioni di persone, da far paura a qualsiasi altra piazza commerciale del mondo, come la Cina, l’india o gli stessi Stati Uniti d’America.

Spero che, quanto prima, questa prospettiva diventi realtà.

 Amaro

Superare il referendum abrogativo

Nella Carta Costituzionale del 1948, per via dell'analfabetismo imperante, i padri costituenti non ritennero andare oltre il referendum abrogativo, proprio perchè meno impegnativo anche se non risolutivo ed a sovranità limitata, in quanto rinviava comunque al legislatore la facoltà di modificare la parte abrogata, senza alcuna indicazione e/o indirizzo di merito. 

Oggi, con l'evoluzione culturale e la maturazione politica dei cittadini, che si traduce in maggior partecipazione popolare alla vita democratica del paese, il referedum abrogativo non è più rispondente alle esigenze di una democrazia matura.  

Sarebbe il momento, quindi, di passare oltre, abolendo l’istituto del referendum abrogativo per sostituirlo con quelli di tipo: sostitutivo, alternativo e propositivo, e semmai limitandone complessivamente il numero a non più di tre per ogni tornata referendaria, in modo da consentirne una miglioe divulgazione ed approfondimento.

In particolare:

  • il referendum sostitutivo, di iniziativa popolare e/o partitica, dovrebbe essere riservato all’abrogazione e contemporanea sostituzione di uno o più articoli di una legge vigente o di un intero articolato legislativo  con  un altro, definito in maniera chiara e comprensibile, come nell'esempio della scheda sottostante:

  • il referendum alternativo, di iniziativa governativa e/o parlamentare, dovrebbe essere riservato a sostituire uno o più articoli di una legge, o addirittura  un intero articolato legislativo, con un altro, scelto tra due (max tre) proposte chiare e distinte, presentate in merito allo stesso argomento o, addirittura, affidare ai cittadini la scelta con conseguente approvazione, ex novo, di una proposta legislativa tra due (max tre) disponibili in merito allo stesso tema, specie su temi di natura etico-morale, nonchè di riforme costituzionali, su cui non vi sia identità di vedute nella maggioranza governativa e/o nel Parlamento, come nell'esempio della scheda sottostante:

  • il referendum propositivo, di iniziativa popolare e/o partitica, dovrebbe essere riservato all’approvazione di una proposta legislativa di iniziativa popolare e/o partitica. come nell'esempio della scheda sottostante:

Quest’ultimo tipo di referendum, alquanto delicato quanto importante, si è reso necessario per la difesa della sovranità popolare, in materie di concorrenza tra interessi generali del paese ed interessi della classe politica, nei confronti della quale il popolo, attualmente, non ha alcuna possibilità di difesa.

Quanto alla validità del risultato referendario, questa dovrebbe essere legata alla maggioranza assoluta dei voti validamente espressi a livello nazionale e, non più, alla maggioranza assoluta degli aventi diritto al voto, almeno per quanto riguarda interventi legislativi che non interessino riforme costituzionali.

Amaro

L’Italia è ancora un paese democratico ?

 

L’Italia, paese in cui:

  • i referendum abrogativi vengono aggirati se non addirittura ignorati;
  • non sono previsti referendum sostitutivi, alternativi e/o propositivi;
  • non esiste l’obbligo di discussione, in tempi certi, delle leggi di iniziativa popolare;
  • il popolo è espropriato del diritto di selezionare i propri rappresentanti al Parlamento;

è ancora definibile un paese democratico e quindi a sovranità popolare?

Io penso proprio di no e che, più propriamente, sia diventato un paese soggetto a dittatura parlamentare.

Un Parlamento, peraltro costituito da Camera e Senato con funzioni paritarie, costituisce solo un dannoso freno all’ iter legislativo a fronte di un corrispondente inutile aggravio di spesa pubblica.

Pertanto, più che pensare a diversificarne le funzioni: lasciando alla Camera la funzione legislativa ed attribuendo al Senato la funzione di rappresentanza regionale, andrebbe assolutamente abolito uno dei due organi istituzionali e, dei due, preferibilmente la Camera dei Deputati in quanto più numerosi dei Senatori.

Quanto alla rappresentanza territoriale, questa può essere espressa, in uno, dallo stesso Senato, sempre che ai candidati venisse imposto di candidarsi in un unico collegio elettorale, possibilmente a dimensione provinciale, e precisamente quello d’origine o di residenza.

In tal modo i candidati, da eleggere in proporzione agli abitanti delle singole province, sarebbero la miglior rappresentanza territoriale possibile, a copertura di tutto il territorio nazionale.

Inoltre, con l’introduzione di un’ auspicabile soglia di sbarramento di età minima  per l’accesso al Senato (indicativamente pari a 60 anni), oltre a poter contare su una rappresentanza istituzionale più esperta e matura, nonché qualificata ed affidabile, proprio perché selezionabile in base al loro excursus di vita sociale e professionale, si introdurrebbe un opportuno ed auspicato meccanismo di ricambio naturale degli stessi Senatori, in modo da evitare incrostazioni di potere attorno a figure di parlamentari a vita.

Amaro

Sistema Elettorale cercasi

SISTEMA ELETTORALE PROPORZIONALE SEMPLICE A TURNO UNICO

Uno dei cardini della democrazia è il sistema elettorale, che permette ai cittadini di scegliere i propri rappresentanti al Parlamento, in una repubblica parlamentare come quella Italiana e, addirittura, lo stesso Presidente della Repubblica, in una repubblica presidenziale come quella francese ed americana.

Dall’esperienza fin quì acquisita, il sistema elettorale più semplice e rispondente alla realtà italiana odierna, sembra essere quello proporzionale semplice a turno unico, con sbarramento al 3% di voti validi a livello nazionale, che fotografa i consensi politici dei vari partiti presenti alla competizione elettorale.

La scelta del turno unico, rispetto al doppio turno, è motivata dal fatto che i risultati del 1° turno sono commisurati ad un’ampia base elettorale, che di solito supera i 2/3 del corpo elettorale di diritto, mentre al 2° turno la partecipazione scende, mediamente, attorno al 50%, rendendo meno indicativi i relativi risultati elettorali.

L’incarico di formare il governo andrebbe, di diritto, riconosciuto al partito di maggioranza relativa, al quale potrebbero essere attribuiti, come premio di maggioranza, tutti i voti dei partiti che non abbiano superato la soglia di sbarramento del 3%.

Premesso che per governare bisogna avere una rappresentanza parlamentare superiore al 50%, se col premio di maggioranza di cui innanzi, il partito di maggioranza relativa avesse superato il 50% dei voti validi espressi dall’elettorato, questi potrebbe governare da solo, diversamente dovrebbe aggregare al governo altri partiti per raggiungere la maggioranza parlamentare di cui innanzi. 

Le condizioni accessorie da introdurre nel sistema elettorale, per avere una fedele rappresentanza delle forze politiche in campo, ed insieme, una rappresentanza territoriale dei vari collegi elettorali, dovrebbero essere le seguenti:

  1. ridurre i collegi elettorali a misura provinciale, con relativa riduzione del numero dei candidati delle singole liste, in  rapporto alla popolazione  del collegio provinciale;
  2. vietare le coalizioni partitiche rappresentate da più simboli, in modo da misurare il consenso elettorale specifico di ciascun partito;
  3. limitare le candidature parlamentari ad un unico collegio: quello di residenza o di origine, in modo che i candidati siano sufficientemente conosciuti dal proprio elettorato e nel contempo ne rappresentino gli interessi sociali e territoriali.
  4. introdurre una soglia minima di età  per la candidatura (preferibilmente non inferiore a 60 anni), in modo da poter contare su una rappresentanza istituzionale più esperta e matura, nonché qualificata ed affidabile, proprio perché selezionabile in base al curriculum di vita sociale e professionale dei singoli candidati.                                                                                              Oltretutto, nell'ipotesi di cui innanzi, verrebbe a cadere sia la necessità di riallocazione dei parlamentari non riconfermati che la necessità del riconoscimento del relativo vitalizio anticipato, in quanto passerebbero direttamente alla pensione o a miglior vita; cosa che peraltro  garantirebbe, automaticamente, anche il ricambio naturale dei parlamentari, senza dover iniquamente limitare il numero dei loro mandati parlamentari allo scopo di evitare incrostazioni di potere attorno a figure di politici di professione;
  5. introdurre la preferenza unica o al più doppia, se di diverso genere, in modo da ripristinare la sovranità popolare. nella votazione dei propri rappresentanti parlamentari.

Con queste premesse, visto che si è imboccata la strada della revisione del bicameralismo paritario, più che pensare a diversificarne le funzioni (Camera con funzione legislativa, Senato con funzione di rappresentanza regionale), potrebbe abolirsi del tutto uno dei due rami del Parlamento, riducendone oltretutto i rappresentanti a massimo 510 unità, in ragione  di 1/100.000 abitanti (con riferimento alla base elettorale del 2013 pari a 51.000.000 di iscritti alle liste elettorali).

 VARIANTE CON L'INTRODUZIONE DEL BIPOLARISMO

Anche se oggi le ideologie prevalenti del secolo scorso (Comunismo e Capitalismo) siano del tutto superate alla luce del nuovo scenario della globalizzazione commerciale e mediatica del pianeta terra, restano comunque in piedi due visioni di governance: una che si richiama al filone socialista l'altra che si richiama al filone liberista.                                                                                                                 Per cui se si volesse introdurre il sistema bipolare col principio maggioritario dell’alternanza tra Destra (più votata al Liberismo)  e Sinistra (più votata al Socialimo), basterebbe aggiungere al precedente sistema elettorale la seguente ulteriore condizione accessoria:

  1. la presentazione delle singole liste deve essere accompagnata da relativa dichiarazione di appartenenza al polo (area) di Destra o di Sinistra

In questo caso, l’incarico di formare il governo andrebbe, di diritto, riconosciuto al polo politico che avesse superato il 50% dei voti validi espressi a livello nazionale ed, in particolare, al partito di maggioranza relativa dello stesso polo, al quale potrebbero essere attribuiti, come premio di maggioranza, tutti i voti dei partiti che non avessero superato la soglia di sbarramento del 3%.

Ciò premesso, se col premio di maggioranza di cui innanzi, il partito di maggioranza relativa del polo vincente superasse il 50% dei voti validi espressi dall’elettorato, questi potrebbe governare da solo, diversamente dovrebbe aggregare al governo altri partiti per raggiungere la maggioranza parlamentare di cui innanzi. 

Amaro

 

Partiti Politici e relativo finanziamento

I partiti politici sono il sale della democrazia, in quanto ad essi è affidato il compito primario di elaborazione ideologica e di proposta politica per l’orientamento dello sviluppo socio–economico di un popolo in risposta alle istanze provenienti dalle classi sociali che essi prevalentemente rappresentano.

Ed oggi più di prima, dal momento che sono caduti gli stereotipi dei vecchi modelli di riferimento, mi riferisco al Comunismo ed al Capitalismo, essi dovrebbero costituire la culla della politica e la fucina ideologica per la elaborazione di  proposte e programmi politici tendenti ad uno sviluppo sostenibile, compatibile con l’ecosistema di appartenenza e rispondente ad una più equa ripartizione del lavoro e della relativa ricchezza prodotta, in  rispetto della dignità umana.

Riconosciuta quindi l’essenzialità del loro ruolo, ad essi andrebbero assicurati i mezzi finanziari necessari all'espletamento della loro funzione da reperire, possibilmente, mediante finanziamento popolare e non pubblico, attraverso prelievo obbligatorio da tutti i contribuenti, in fase di dichiarazione annuale dei redditi, di una percentuale fissa dell’imposta dovuta, che i cittadini, però, dovrebbero poter indirizzare al partito prescelto (in sostanza per il finanziamento dei partiti andrebbe adottato lo stesso sistema attualmente in uso per le chiese).

Tale forma di finanziamento sembra essere la più idonea, sia perché rispecchia le effettive tendenze politiche popolari, annualmente adeguate e rapportate al consenso guadagnato  dai vari partiti beneficiari  con il loro operato, sia perché garantisce l’anonimato del finanziatore, liberando, in tal modo, gli stessi partiti da possibili soggezioni psicologiche e/o, peggio ancora, da possibili ricatti morali dei finanziatori palesi, con le drammatiche conseguenze della storia di “Tangentopoli”, esperienza non ancora superata, anche se sotto forme diversificate.

La dialettica  democratica, comunque, non si avvale solo della partecipazione di partiti politici, ma è arricchita dalla compartecipazione anche di altri soggetti socio – politici, non meno importanti, quali: sindacati, movimenti d’opinione, associazioni culturali ecc.

La presenza di tutti questi soggetti socio – politici arricchiscono indubbiamente lo scenario  democratico, anche se è opportuno evitare di incorrere in situazioni sia di estrema proliferazione che di estrema concentrazione degli stessi, in quanto nel primo caso si rischierebbe di sfociare nell’anarchia con conseguente paralisi governativa, nel secondo caso si rischierebbe  l’ imbavagliamento della democrazia con conseguente degenerazione della stessa in regime.

Amaro

Migrazioni di massa: quali soluzioni?

Quasi quotidianamente sulle sponde meridionali italiane approdano barconi di migranti, lasciando una scia di morte sulla superficie del mare nostrum a causa dei naufraghi che colano a picco nelle sue acque, quando non si traducono in vere e proprie ecatombi come quella avvenuta giovedì 3 ottobre 2013.

L’ennesimo barcone che, stracarico di quasi 500 africani, provenienti prevalentemente dalla regione del corno d’Africa, è colato a picco davanti alle coste di Lampedusa, trascinando a fondo oltre 300 persone, prevalentemente giovani, molte delle quali donne e bambini.
Il tragico naufragio, da cui sono stati salvati appena 155 migranti, è addebitabile ad un incendio scoppiato a bordo del natante, proveniente dalle coste della Libia.
Sarebbe scontato attribuire la responsabilità diretta dell’accaduto agli scafisti che lucrano sul traghettamento illegale, da una sponda all’altra del Mediterraneo, di folle migranti che fuggono spesso da aree povere e degradate, governate per lo più da regimi autoritari e corrotti, se non addirittura da scenari di guerra interetnica e/o interreligiosa.
Limitarsi a considerare le colpe dirette di questi accadimenti che continuamente si ripetono nel mare nostrum, divenuto oramai la fossa comune di tanti derelitti umani, sarebbe riduttivo ed inconcludente se non si esaminassero ed affrontassero, prioritariamente, le cause indirette che determinano queste migrazioni di massa in direzione sud > nord, che chiamano in causa, in primo luogo, la responsabilità politica dell’Unione Europea, costituita prevalentemente da paesi ex colonizzatori del territorio africano, ed a seguire, quella dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, che oltre a liberalizzare il movimento delle merci, a livello mondiale, avrebbe dovuto liberalizzare anche il movimento delle persone, diritto inalienabile dell’uomo, che non può essere rinchiuso nell’ambito dei confini nazionali di origine.
Ci  vuole, quindi, un sussulto di umanità e di saggezza  politica  per dare definitiva risposta al problema dell’emigrazione di massa, curandone non gli effetti ma le cause che spingono all’emigrazione dai paesi d’origine.

Premesso che sarebbe auspicabile un provvedimento dell’ONU inteso a liberalizzare gli spostamenti umani su tutto il globo terrestre, se accompagnati da documenti di riconoscimento di valenza internazionale, più relativi permessi di soggiorno temporaneo nel paese di destinazione commisurati alle personali riserve finanziarie, per garantire l’autosufficienza economica relativa al periodo di permanenza nel paese d’arrivo, nel merito, le indicazioni suggeribili in ordine di priorità, anche se non di fattibilità,  sono le seguenti:

  1. dal momento che l’obiettivo prevalente delle migrazioni in direzione Sud > Nord è costituito dall’Europa, per bloccare quella che ormai è divenuta un’invasione pacifica, e tuttavia non più sostenibile del nostro continente, all’UE non resta che invertire il flusso migratorio, portando gli europei in Africa, per promuovere e stabilizzare economicamente, socialmente e politicamente i suoi paesi, ieri oggetto di colonizzazione da parte dei paesi europei.
    Questo è possibile attraverso la costituzione del Comitato Europeo per lo Sviluppo dell’Africa (CESA), sostenuto da un massiccio impegno finanziario che ogni paese europeo dovrà accollarsi, da fissare possibilmente in percentuale fissa del proprio PIL nazionale (Es. 1% PIL), da investire direttamente, in opere pubbliche, servizi e riorganizzazione amministrativa e sociale, in uno o più paesi ex coloniali, presi in carico con un contratto di cooperazione e/o partenariato,  siglato sotto l’egida ed il controllo del suddetto CESA.
    Solo promuovendo lo sviluppo socio-economico e democratico di detti paesi,  attraverso l'instaurazione di un rapporto biunivoco privilegiato con i paesi partners per lo scambio reciproco di merci, servizi ed eventuale mano d’opera, nonché per eventuali delocalizzazioni industriali e manifatturiere mirate, si può arrivare alla stabilizzazione demografica del continente africano (sul tipo, insomma, dell'operazione ALBA eseguita in Albania nel 1997) ed inoltre controllarne e frenarne l’impennata demografica prevista per il prossimo futuro;
  2. nell’impossibilità di poter mettere in opera le soluzioni di cui innanzi, si potrebbe ripiegare su un provvedimento nazionale col quale istituire regolari servizi di trasporto passeggeri e merci, via mare, con cadenza almeno settimanale, sulle rotte di maggior flusso migratorio (es. Libia – Tunisia – Egitto) per consentire un traghettamento sicuro dei migranti, dall’Africa all’Italia, a condizione che questi siano forniti di regolare biglietto di viaggio, nonché di permesso di soggiorno temporaneo sul territorio italiano, commisurato alle scorte finanziarie personali, rilasciato dai Consolati italiani dei paesi di provenienza o rivieraschi del mar Mediterraneo. Questa operazione, oltre ad evitare il ripetersi di intollerabili sciagure umane, assicurerebbe al nostro paese introiti finanziari, per biglietti di viaggio e consumi sul territorio, corrispondenti a non meno di 300 milioni di euro all’anno, che attualmente i migranti depositano nelle mani degli scafisti, stando alla previsione numerica dei migranti che quest'anno (2017) approderanno sulle coste italiane (Vedere istogramma seguente).

Queste soluzioni sono utopistiche? Forse ad oggi, ma nel prossimo futuro s’imporranno assolutamente se si vuol fronteggiare adeguatamente l’invasione umana dell’Europa, proveniente dall’altra sponda del mediterraneo e non solo, senza perdere la dignità di appartenere al genere umano.

 Amaro