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Problema Ucraina e strabismo europeo

Il 18 aprile 1951, con il trattato di Parigi tra: Francia – Italia – Germania – Belgio – Olanda – Lussemburgo, nasceva in Europa occidentale la C.E.C.A. (Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio), il primo organismo soprannazionale, con l’intendo di unificare il mercato carbosiderurgico, eliminando sperequazioni di prezzi e tariffe nel settore.

Successivamente, il 25 marzo 1957 le stesse nazioni firmavano il trattato di Roma per dar vita alla C.E.E (Comunità Economica Europea), al fine di istituire un mercato comune europeo mediante un allineamento delle politiche economiche degli Stati membri e giungere in prospettiva all’abolizione sia dei dazi doganali interni che dei contingentamenti degli scambi commerciali interni, in modo da permettere in definitiva la libera circolazione  di persone, capitali e merci all’interno della Comunità.

Nella cornice storica del momento questo, forse, era il massimo di disponibilità che si poteva richiedere agli Stati membri aderenti ai trattati di cui innanzi, che muovevano i primi passi verso l’integrazione politica europea, alla quale miravano i promotori di detti organismi comunitari.

E’ ormai trascorso più di mezzo secolo dalla data del primo trattato, ma il progetto politico intravisto dai padri fondatori della Comunità Europea resta ancora un obiettivo da raggiungere, benché la Comunità si sia allargata fino a comprendere 28 paesi; questo perché il progetto è partito da un binario sbagliato: quello economico, che difficilmente porta all’integrazione dei popoli per le naturali divergenze di interessi in gioco.

Per cui la Comunità Europea è stata relegata al ruolo di mediatrice fra opposti interessi nazionalistici, privilegiando il più delle volte gli Stati membri ad economia forte in danno di quelli ad economia debole, nell'impossibilità di esprimere un’identità veramente soprannazionale, in grado  di svolgere un ruolo significativo a livello internazionale, come hanno recentemente dimostrato i drammatici avvenimenti della Siria e più recentemente dell’Ucraina..

Per uscire dal tunnel, forse, sarebbe opportuno puntare non ad un  processo di realizzazione rigida del progetto unitario, bensì ad un processo di realizzazione elastica, scaglionata nel tempo, partendo dall’Unione di quei Paesi che credono, fermamente, nell’Unione Europea, fondata sulla base di: un idioma comune, da affiancare alla lingua nazionale dei singoli Stati e di istituzioni governative soprannazionali, con effettivo potere politico, legislativo, esecutivo e di rappresentanza internazionale, oltre alla realizzazione della moneta unica, già operata.

Questo procedimento oltre ad accelerare la costituzione politica dell’Unione Europea, lascerebbe agli altri Paesi aspiranti, ma non ancora del tutto convinti, il tempo necessario per maturare la propria decisione, senza però, nel frattempo, consentire loro interferenze  e veti che frenino il processo di unione del gruppo di testa (vedi il ruolo ambiguo svolto finora dall’Inghilterra che, a parere dello scrivente, non sarà mai integrabile nell’U.E.).

A questo proposito è da sottolineare lo strabismo dell’Unione Europea che, a 25 anni dalla caduta del muro di Berlino (1989), tiene ancora in piedi  il Patto Atlantico, nato in funzione antisovietica e quindi, oggi, superato dalla storia, e non rivolga le sue attenzioni all’est europeo per cercare di inglobare nella comunità europea la stessa Russia ed i suoi paesi satelliti, spingendo i confini dell’Europa fino agli Urali.

Tanto più che esistono già forti interessi complementari di interscambio commerciale con la Russia, in particolare nel settore energetico, vitale per l’Europa occidentale; senza per questo voltare le spalle agli Stati Uniti d’America.

Un’operazione del genere, non solo sgonfierebbe le tensioni sorte in Ucraina, ma servirebbe a risolvere definitivamente anche il conflitto in Siria che si trascina da circa tre anni senza, previsione di sbocco.

A distanza di 70 anni dalla 2ª guerra mondiale, è maturo il tempo in cui l’Europa diventi adulta e scelga la propria strada in autonomia, pensando al suo futuro, pur senza dimenticare il passato e voltare le spalle al suo storico e fidato alleato americano.

Inglobando ulteriormente nell’U.E. gli 8 paesi candidati all’adesione (Albania - Bosnia Erzegovina - Islanda - Macedonia - Montenegro - Serbia - Turchia - Kosovo), più quelli residui della Biellorussia, Moldavia, Norvegia, Russia, Svizzera ed Ucraina, avremmo un bacino commerciale di 821 milioni di persone, da far paura a qualsiasi altra piazza commerciale del mondo, come la Cina, l’india o gli stessi Stati Uniti d’America.

Spero che, quanto prima, questa prospettiva diventi realtà.

 Amaro

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