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W.T.O. (World Trade Organization / Organizzazione Mondiale del Commercio)

L'Organizzazione Mondiale del Commercio, meglio conosciuta con il nome inglese di World Trade Organization (WTO), è un organismo internazionale istituito il 1º gennaio 1995, a seguito dei negoziati che, tra il 1986 ed il 1994, hanno impegnato i paesi aderenti al GATT ed i cui risultati sono stati sanciti nell’”Accordo di Marrakech”" del 15 aprile 1994.. Detto organismo è stato creato allo scopo di regolamentare il commercio mondiale, ruolo precedentemente svolto dal GATT (General Agreement on Tarifs and Trade), sigla attribuita all’Accordo Generale sulle Tariffe e sul Commercio concluso a Ginevra nell'ottobre del 1947 da 23 dei paesi partecipanti alla commissione preparatoria della Conferenza Internazionale per il commercio e l'occupazione.

Esso ha infatti ereditato tutti gli accordi e le convenzioni già in essere nel GATT, con l'incarico di continuarne l’amministrazione ed estenderli; a tutti gli stati membri del WTO.

La sua sede è Ginevra, in Svizzera, dove è  stata istituzionalizzata un’adeguata struttura organizzativa alla quale, ad oggi, aderiscono 160 Paesi, a cui si aggiungono 24 Paesi osservatori che, complessivamente, rappresentano circa il 97% del commercio mondiale di beni e servizi.

Obiettivo generale del WTO quindi è quello dell'abolizione o della riduzione delle barriere doganali  e tariffarie al commercio internazionale e; a differenza di quanto avveniva in ambito GATT, la sua normativa ha per oggetto, non solo i beni commerciali, ma anche i servizi e le proprietà intellettuali .

Ma le funzioni principali del WTO si identificano nelle seguenti due:

  • quella di forum negoziale per la discussione sulla normativa del commercio internazionale (sia esistente che nuova);
  • quella di organismo per la risoluzione delle dispute internazionali sul commercio.

La nascita di detto organismo è dovuta alla pressione produttiva e quindi economica dei Paesi ad economia avanzata, che non riuscendo più ad assorbire al proprio interno l’enorme produzione aziendale, cresciuta esponenzialmente per via dello sviluppo tecnologico sempre più spinto, hanno cercato sbocchi mercantili al di fuori dei propri confini nazionali.

Il numero dei paesi aderenti è andato crescendo nel tempo fino ad arrivare a coinvolgere quasi l’intera popolazione terrestre per cui si può, a ragione, dire che si è giunti a creare un mercato globale.

Parallelamente all’incremento della produttività aziendale, lo sviluppo tecnologico ha permesso di ridurre sempre più la forza lavoro, animale prima ed umana dopo.

Questo mercato, diventato transnazionale e transcontinentale, se all’origine ha creato spazio commerciale per le aziende dislocate nei Paesi più evoluti ed attrezzati tecnologicamente, sostenendo sempre più il loro ritmo di produzione e di conseguenza trainando anche l’economia dei rispettivi paesi, alla distanza sta facendo registrare un riflusso commerciale di notevoli proporzioni, con conseguenze occupazionali inimmaginabili e difficilmente recuperabili.

Questo perché per sostenere la domanda estera si doveva elevare il tenore di vita dei paesi coinvolti nel mercato e l’unica soluzione era quella di trasferire in essi la produzione per offrire lavoro e conseguente reddito e capacità di acquisto alle popolazioni coinvolte.

Oltretutto l’operazione affrancava le stesse aziende dagli oneri di trasporto delle merci dai loro paesi d’origine  a quelli  commercialmente serviti.

E siccome l’appetito vien mangiando, la parziale delocalizzazione iniziale delle aziende, di fronte al notevole differenziale salariale dei nuovi paesi di espansione commerciale, specie del medio e più ancora dell’estremo oriente, oltre alla quasi totale assenza di organizzazioni sindacali ed al basso onere fiscale, è diventato, nel tempo, un fiume in piena, sguarnendo del tutto i centri di produzione dei paesi d’origine per approdare nei paradisi produttivi e fiscali a minor costo, con conseguente inversione del flusso delle merci che adesso invadono i paesi occidentali, prima esportatori.

Quindi, l’ampliamento dell’area mercantile oltre i confini del proprio paese che all’origine sembrava un’opportunità per continuare a produrre e tenere alto l’indice di occupazione, alla distanza si è rivelato un boomerang, in quanto difficilmente riassorbibile l’enorme differenziale dei costi di produzione dalle imprese dei Paesi occidentali, socialmente più evoluti sia in termini di livelli salariali che garanzie sociali raggiunte (orario di lavoro settimanale, copertura sanitaria, assicurativa, assistenziale e previdenziale), frutto di dure e continue lotte sindacali.

E mentre alle imprese resta pur sempre una via d’uscita, quella dell’eventuale delocalizzazione delle loro aziende nei paesi emergenti, per gli addetti ai lavori dei Paesi socialmente più avanzati dell’Occidente questo si traduce, amaramente ed irrimediabilmente, in perdita secca di posti di lavoro, con incremento crescente della disoccupazione.

E non è assolutamente credibile, al contrario di quanto in  più ambienti si pontifica, che questo gap sia  del tutto superabile  col solo ricorso ad una forte accelerazione della ricerca scientifica ed applicata e ad una appropriata riorganizzazione ed internazionalizzazione del sistema produttivo e commerciale nazionale.

Questo dimostra che la W.T.O. è nata su prospettive sbagliate o perlomeno di corto respiro, non adeguatamente ponderate né dal punto di vista economico né dal punto di vista socio - politico;  infatti non sarebbe stato difficile prevedere che in prospettiva, dal confronto commerciale tra paesi con enorme differenziale sociale, i paesi più progrediti ed avanzati avrebbero subito un pesante attacco di concorrenza commerciale da parte dei paesi con livelli salariali infimi e sistemi di garanzie sociali più arretrati o addirittura inesistenti.

E questo confronto diventa impietoso se i paesi di riferimento sono quelli dell’estremo oriente con in testa la Cina, entrata a far parte del WTO a dicembre del 2001, i quali oltre ad avere alle spalle una cultura storica millenaria ed essere dotati di enorme capacità di assimilazione e  dinamismo imprenditoriale,   sono anche guidati, per lo più, da regimi più o meno assolutistici, in grado di decidere ed adeguare la loro politica economica nazionale alle circostanze con celerità impensabile nei paesi a gestione democratica, come in occidente.

Per cui, se è vero che i processi storici non si possono bloccare ma solo correggerne il percorso, vanno ripensate norme e condizioni per l’adesione alla suddetta Organizzazione Mondiale del Commercio, almeno sulla base di un equivalente sistema di garanzie sociali attinenti il mondo del lavoro dei Paesi membri; conditio sine qua, non è possibile correggere le distorsioni fin qui prodotte, e  producibili ancor più in futuro, dal mercato globale.

D’altra parte non si vede perché non si possano e debbano imporre severe e precise condizioni socio economiche, oltre che strettamente commerciali, per l’accesso al mercato mondiale ad un paese, come ad esempio la Cina che, con una popolazione di circa 1.350.000.000 abitanti, pari al 20 % circa dell’intera popolazione terrestre, ha avuto uno stravolgente impatto economico sull’intero sistema commerciale mondiale, quando per l’accesso nell’Unione Europea di Stati insignificanti, sia per estensione territoriale che demografica, vengono poste condizioni socio – economiche e per di più politiche ben più restrittive.

A conclusione, spero solo che le attuali condizioni di difficoltà economiche in cui versa tutto il mondo occidentale, in prospettiva sempre più pesanti, inducano i governanti dell’Unione Europea a prendere atto che, al di là dell’anacronistica difesa degli interessi nazionali di piccolo cabotaggio, nei confronti degli altri paesi dell’Unione, il vero pericolo viene dal mondo esterno all’Unione, ed in particolare dai paesi dell’estremo oriente, Cina ed India in testa, che da soli costituiscono il 36 % dell’intera popolazione mondiale, con i loro 2.500.000.000 abitanti.

La situazione, quindi, esige un atto di responsabilità e di coraggio da parte dei politici europei  per arrivare, quanto prima, alla costituzione di un vero e proprio organismo di governo soprannazionale, in grado di uniformare, all’interno dell’Unione, tutta la normativa giuridica, economica, sociale e fiscale, e che, all’esterno, possa esprimersi con un’ univoca linea di politica estera, a salvaguardia degli interessi dell’Unione Europea.

Se ciò non fosse possibile, ogni Stato dell’Unione, e quindi anche l’Italia, dovrebbe adottare una norma di salvaguardia a protezione della propria produzione interna, che permetta l’importazione solo della quota eccedente la propria produzione nazionale rispetto alla quota  di consumo nazionale stimata annualmente, specie nel settore dei prodotti agricoli.

 

  Amaro

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