TERZA VIA
NAVIGAZIONE - RICERCA

Distinzione tra Beni Artificiali e Naturali

Il nuovo modello di sviluppo socio – economico, battezzato col nome di "TERZA VIA", è distinto e distante sia dal modello comunista che da quello capitalista, pur estraendo da entrambi i suggerimenti migliori.

L’assioma fondamentale su cui poggia riguarda la riclassificazione dei beni materiali in due distinte categorie: beni artificiali e beni naturali che, quantunque logicamente condivisibile come inoppugnabile ovvietà,  comporta conseguenze rivoluzionarie sull’assetto socio-economico dell’umanità.

Esso costituisce l’equivalente dell’uovo di Colombo, da cui trae origine il nuovo modello di sviluppo che, senza mortificare la libera iniziativa privata, ne  guida e sostiene lo sviluppo in un quadro normativo di sana concorrenza di mercato, in vista di un progresso collettivo ed armonico dell’intera società nazionale e mondiale.

Volendo ricorrere ad un’ immagine artistica appropriata, il modello previsto somiglia alla tela di un quadro, raffigurante il liberismo economico, racchiusa in una cornice normativa di stampo socialista, a garanzia dei diritti naturali ed inalienabili dell’uomo, che arricchisce ed esalta il soggetto rappresentato sulla tela, anche se ne delimita nel contempo l’area.

Appartengono alla prima categoria tutti i beni che sono opera dell’attività umana, ivi compresi i mezzi di produzione, per cui sugli stessi va riconosciuto, con altrettanta logicità ed inoppugnabilità, il diritto di proprietà privata.

Appartengono alla seconda categoria tutti i beni che prescindono dall’opera e dall’ingegno umano, essendo essi parte costitutiva del nostro pianeta, per cui gli stessi non possono non costituire patrimonio comune ed inalienabile dell’intera collettività umana.

Il concetto di collettivizzazione dei beni naturali non è nuovo in quanto è stato introdotto per la prima volta dal regime comunista sovietico dopo la rivoluzione del 1917, in ossequio alla teoria Marxista – Leninista.

Da questa categorica e netta distinzione dei beni in: artificiali e naturali scaturiscono i seguenti due corollari:

  • i primi, per loro natura, possono essere oggetto di proprietà privata e quindi alienabili, a titolo gratuito od oneroso,  passando di proprietà da un soggetto ad altro;
  • i secondi invece, per loro natura, costituendo beni comuni naturali, sono inalienabili, ma non per questo  vanno necessariamente assoggettati a gestione pubblica, bensì possono essere assoggettati a gestione privata, concessa a titolo oneroso, per il loro sfruttamento, coltivazione e/o altro uso consentito dalle leggi vigenti in materia, e nei limiti in cui questa non contrasti con l’interesse di pubblica utilizzazione dl detti beni.

Le entrate derivanti dalle concessioni in gestione privata di detti beni potranno, in tal modo, essere impiegate a beneficio della collettività, in modo da garantire a ciascun cittadino un livello minimo di vita civile e dignitosa, mediante un reddito di solidarietà sociale, e questo indipendentemente dal suo contributo o meno al Prodotto Interno Lordo (PIL) nazionale.

Da questo semplice, eppur rivoluzionario, assioma ideologico nasce il postulato della Terza Via, a metà strada tra l’assolutismo politico del Comunismo e l’assolutismo economico del Capitalismo, in piena sintonia con la massima ciceroniana "in medio stat virtus".

Infatti il collettivismo praticato nei paesi soggetti al regime  comunista sovietico, peraltro esteso anche ai mezzi di produzione oltre che ai beni naturali, pur assicurando a tutti i cittadini un livello minimo di sopravvivenza, ne ha mortificato lo spirito e fiaccato la volontà, inducendo gli stessi a vivere una forma di vita vegetativa, simile a quella degli animali  da zoo, ai quali è assicurato il pasto quotidiano per la sopravvivenza, ma è negata ogni libertà di movimento e di azione, tanto da estinguere in essi l’interesse alla vita.  

Al contrario, il liberismo economico praticato nei paesi dell’occidente, dando libera stura alla creatività ed agli appetiti umani, ha portato questi a raggiungere livelli medi di vita indubbiamente superiori a quelli dei paesi comunisti, anche se ultimamente, con la globalizzazione dei mercati, si registrano situazioni sempre crescenti di indigenza assoluta  ed un consistente arretramento economico della classe media a fronte di una sempre più accentuata concentrazione della ricchezza nelle mani di un numero sempre più ristretto di persone.

In prospettiva, quindi, è prevedibile la concentrazione di risorse  finanziarie ed economiche sempre più ampie, a livello internazionale, al punto da non poter essere più controllate da parte dei singoli governi nazionali, e tali da interferire e perfino condizionare la politica economica degli stessi, nel perseguimento di obiettivi di profitto privato sempre crescente, a danno della salvaguardia dei diritti sociali fin qui raggiunti, con dure lotte sindacali, nei paesi economicamente e socialmente più evoluti dell’occidente.

E questo perché il capitalismo odierno ha cambiato natura e pelle rispetto a ieri, in quanto  da capitalismo industriale a gestione familiare, legato quindi al settore di produzione, alle sue maestranze ed al territorio d’origine, si è trasformato sempre più in  capitalismo finanziario, più volatile e mobile, che non risponde più alla classe imprenditoriale padrona, vecchio stampo, ma a masse indefinite di azionisti, distinti e distanti sia dai processi produttivi che dai problemi tecnico – economici e sociali  dell’ azienda, ed il cui fine primario ed unico è la redditività del capitale investito.

Gestione dei beni naturali
Mentre la gestione dei beni privati non comporta problemi, in quanto è affidata alla libera iniziativa e capacità imprenditoriale dei rispettivi proprietari, quella dei beni naturali va opportunamente regolamentata, cercando di non ripetere gli errori del sistema comunista sovietico che, oltre a centralizzare i poteri di specifica e stretta competenza politica ed amministrativa, ha accentrato anche quelli di gestione dell’ economia nazionale.

Ed è proprio la programmazione e gestione centralizzata della produzione che, nel tempo, ha finito per mortificare ed infine annientare lo spirito di iniziativa privata, riducendo tutto l’apparato produttivo ad un elefantiaco carrozzone statale che, a causa del peso del suo pletorico organico e della sua inerzia operativa, ha finito per schiacciare il sistema produttivo, facendo scendere il suo indice di produzione a livelli minimi; dal che la penuria di prodotti e mezzi di sussistenza, con conseguente malcontento sociale, sfociato nella rivoluzione incruenta del 9 novembre 1989, con l’abbattimento del muro di Berlino.

Questa esperienza, che anche l’Italia, marginalmente, ha vissuto attraverso la gestione pubblica di alcune aziende sia di produzione che di servizi, insegna che va nettamente distinta la funzione dello Stato da quella degli altri soggetti sociali.

Allo Stato va affidato il compito di indirizzo politico, economico e sociale del paese, attraverso la pianificazione del territorio e la sua difesa, la garanzia dell’ordine pubblico, della legalità e della giustizia sociale, nonchè la gestione dei servizi amministrativi, scolastici, sanitari e sociali, lasciando ai privati l’esercizio e la gestione di tutte le altre attività imprenditoriali, in uno spirito di leale concorrenza che lo Stato deve  garantire per creare una vera economia di mercato.

In quest’ottica quindi, anche la coltura, lo sfruttamento e l’uso in generale dei beni naturali, eccezion fatta per quelli a destinazione di pubblica utilità, va affidata a soggetti economici privati, singoli od associati che siano,, mediante eventuale concessione a titolo oneroso, commisurato quest’ultimo alla destinazione ed uso previsto per gli stessi nell’ambito di una pianificazione nazionale e/o locale, fermo restante il riconoscimento del diritto di proprietà privata su tutte le opere, strutture e sovrastrutture funzionali alla gestione di detti beni, realizzate con mezzi e fondi privati.

La distinzione dei beni in artificiali, di pertinenza privata, e naturali, di pertinenza pubblica, anche se a gestione privata, costituisce la pietra miliare di una nuova visione sociologica del mondo atta, da sola, a rivedere l’ambito e la misura dei diritti umani, e a ridisegnare un quadro di maggiore giustizia sociale, a fronte di una compartecipazione naturale agli utili derivanti dalla coltivazione, sfruttamento ed uso a fini produttivi dei beni naturali.

Ma la conseguenza più eclatante della suddetta distinzione si avrebbe nella gestione del territorio, a proprietario unico (lo Stato), che oltre a semplificarne notevolmente la gestione ed il controllo, con conseguente dimagrimento del pletorico organico dell’Agenzia del Territorio (ex U.T.E.), comporterebbe, anche la rimozione dell’enorme contenzioso giudiziario attualmente esistente sia tra privati, per controversie di confini, sia tra pubblico e privati, derivanti da espropri per pubblica utilità; senza contare della conseguente ricaduta positiva anche sugli abusi edilizi, in quanto le realizzazioni su suolo pubblico, senza relativa autorizzazione degli organi competenti, ricadrebbero automaticamente in proprietà dello Stato.

Inoltre, verrebbero a cadere tutte le difficoltà, derivanti dalla difesa di interessi privati, che oggi penalizzano pesantemente l’iter tecnico - amministrativo dei piani di sviluppo urbanistici e territoriali, per la cui definitiva approvazione, attualmente, si impiegano tempi generalmente  superiori al loro stesso periodo di validità previsionale.

Effetto non secondario, infine, il contemporaneo raffreddamento delle tensioni, sia economiche che sociali, che oggi si vivono nel settore dell’edilizia residenziale potendosi, in questo caso, riequilibrare il rapporto tra domanda ed offerta mediante una turnazione delle assegnazioni dei singoli lotti edificabili a favore dei soggetti attuatori (imprese, cooperative edilizie e singoli cittadini) in modo da impedire la concentrazione di suoli edificatori nelle mani di pochi soggetti, motivo essenziale oggi di speculazione edilizia, a scapito del libero mercato e della sana concorrenza.

Oltretutto la disponibilità di suolo pubblico a fini edificatori, abbasserebbe considerevolmente la sua incidenza economica sul costo finale delle costruzioni edili, che si tradurrebbe a sua volta in un vantaggio economico per tutti ii cittadini (in termini di prezzo di acquisto e/o di corrispondente canone di locazione), recuperabile in tutto od in parte sui loro salari e stipendi, cosa che consentirebbe di  abbassare corrispondentemente i costi di produzione dei prodotti nazionali, in modo da resistere meglio alla concorrenza del mercato internazionale, a salvaguardia dell’occupazione sul territorio nazionale.

Queste considerazioni, da sole, giustificano ampiamente, sia sotto il profilo socio–economico  che squisitamente giuridico e politico, l’acquisizione del postulato sulla distinzione dei beni in: artificiali e naturali, con tutte le implicazioni  di cui innanzi.

   Amaro

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