TERZA VIA
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Limiti dell’Unione Europea

Il 18 aprile 1951, con il trattato di Parigi tra: Francia – Italia – Germania – Belgio – Olanda – Lussemburgo, nasceva in Europa occidentale la C.E.C.A. (Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio), il primo organismo soprannazionale, con l’intento di unificare il mercato carbosiderurgico, eliminando sperequazioni di prezzi e tariffe nel settore.

Successivamente, il 25 marzo 1957 le stesse nazioni firmavano il trattato di Roma per dar vita alla C.E.E (Comunità Economica Europea), al fine di istituire un mercato comune europeo mediante un allineamento delle politiche economiche degli Stati membri e giungere in prospettiva all’abolizione sia dei dazi doganali interni che dei contingentamenti degli scambi commerciali interni, in modo da permettere in definitiva la libera circolazione di persone, capitali e merci all’interno della Comunità.

Nella cornice storica del momento questo, forse, era il massimo di disponibilità che si poteva richiedere agli Stati membri aderenti ai trattati di cui innanzi, che muovevano i primi passi verso l’integrazione politica europea, alla quale miravano i promotori di detti organismi comunitari.

La nascita dell'attuale Unione Europea avviene con il trattato di Maastricht del 7 febbraio 1992, entrato in vigore il 1° novembre 1993.

Sono ormai trascorsi 64 anni dalla data del primo trattato, ma il progetto politico intravisto dai padri fondatori della Comunità Europea resta ancora un obiettivo da raggiungere, benché la Comunità si sia allargata fino a comprendere 28 paesi (Austria/1995, Belgio/1957, Bulgaria/2007, Cipro/2004, Croazia/2013, Danimarca/1973, Estonia/2004, Finlandia/1995, Francia/1957, Germania/1957, Grecia/1981, Irlanda/1873, Italia/1957, Lettonia/2004, Lituania/2004, Lussemburgo/1957, Malta/2004, Paesi Bassi/1957, Polonia/2004, Portogallo/1986, Regno Unito/1973, Repubblica Ceca/2004, Romania/2007, Slovacchia/2004, Slovenia/2004, Spagna/1986, Svezia/1995, Ungheria/2004). 

 

Questo perché il progetto è partito da un binario sbagliato: quello economico, che difficilmente porta all’integrazione dei popoli per le naturali divergenze di interessi in gioco, per cui oggi l'Unione Europea è relegata al ruolo di mediatrice fra opposti interessi nazionalistici, privilegiando il più delle volte gli Stati membri ad economia forte in danno di quelli ad economia debole, nell'impossibilità di esprimere un’identità veramente soprannazionale, in grado  di svolgere un ruolo significativo a livello internazionale, come hanno recentemente dimostrato i drammatici avvenimenti della Siria e dell’Ucraina.

Per uscire dal tunnel, forse sarebbe opportuno puntare al progetto unitario mediante un processo di realizzazione progressiva, partendo dall’Unione degli Stati Europei più maturi e convinti sulla opportunità di unire le proprie forze per acquisire all'Europa una rappresentanza adeguata al suo peso storico, culturale ed economico e poter condizionare i giochi geopolitici nel mondo.

Alla base del progetto unitario, accanto alla moneta comune (€), non dovrà mancare il legante basilare di una comunità rappresentato da un idioma comune, da affiancare alla lingua nazionale degli Stati membri, ed istituzioni governative soprannazionali, con effettivo potere politico, legislativo e di governo, nell’ambito dell' Unione, nonché di rappresentanza unica a livello internazionale. 

Questo procedimento oltre ad accelerare la costituzione politica dell’Unione Europea, lascerebbe agli altri Paesi aspiranti all'ingresso nella U.E., ma non ancora del tutto convinti, il tempo necessario per maturare la propria adesione, senza però, nel frattempo, consentir loro interferenze  e veti che frenino il processo di unione effettiva del gruppo di testa (vedi il ruolo ambiguo finora svolto dal Regno Unito, culminato con la Brexit a seguito del risultato referendario del 23 giugno 2016, che ha visto i voti favorevoli all'uscita dall'Unione Europea prevalere con il 51,9%).

Questa sarebbe l’unica via da imboccare per far uscire l’Unione Europea dall’attuale impasse; diversamente, forse sarebbe più conveniente uscirne, in modo da liberarsi dai vincoli dei trattati comunitari sottoscritti e poter perseguire una politica nazionale interna ed estera più rispondente alle esigenze specifiche del proprio Paese.

In quest’ottica l’Italia, per il suo antico retaggio storico, per la sua cultura aperta al mondo, nonché per la sua naturale collocazione geografica  al centro del Mediterraneo, potrebbe aspirare  a svolgere un importante ruolo di cerniera tra i Paesi del Nord e del Sud Mediterraneo, dell’Est ed Ovest Europeo, imponendosi a livello internazionale con una propria politica estera più attiva e propositiva (se solo avesse gli uomini giusti di governo); magari puntando a costituire l’Unione Mediterranea (U.M.), che coinvolga tutti i Paesi che si affacciano sul mare nostrum, area di confronto storico tra le varie culture sviluppatesi lungo le sue sponde e quindi testimone storico di un intreccio culturale ed economico, forse, più forte di quello che attualmente lega i Paesi dell’Unione Europea.

Oggi l’U.E, oltre a confrontarsi con il problema di integrazione ed omogeneizzazione interna, in vista di una gestione politica ed economica soprannazionale, si deve confrontare anche con il fenomeno dell’immigrazione di massa proveniente, prevalentemente, dai paesi meno sviluppati dell’area sud – orientale del globo terrestre.

Il fenomeno, innescato dalla globalizzazione dell’informazione digitale, nonché dalla suggestione dei messaggi televisivi trasmessi dalle televisioni dei paesi occidentali, ha raggiunto una dimensione biblica, contro la quale non ci sono norme nazionali ed europee che tengano.

Oltretutto, di fronte allo stato di disperazione che spinge i popoli a trasmigrare, affrontando lunghissimi ed estenuanti viaggi e mettendo in gioco il rischio della stessa vita, l’opinione pubblica occidentale è disarmata, combattuta tra il sentimento di carità cristiana, dettato dalla coscienza comune, e la consapevolezza che non si possono aprire incondizionatamente le frontiere a quella che sembra essere una vera invasione, col rischio di compromettere l’equilibrio socio - economico e perfino etnico del proprio paese.

Per cui penso che, per arginare il fenomeno dell’immigrazione, più che ricorrere a norme e leggi speciali nell’ambito dei singoli paesi membri dell’Unione Europea,  si debba ricorrere ad interventi esterni, nei paesi d’origine della migrazione, con l’adozione di una politica estera comune di tutto il mondo occidentale e dei paesi evoluti in generale, ognuno dei quali dovrebbe assumersi il carico  di un moderno  protettorato, o meglio partenariato, di uno o più paesi emergenti, secondo una convenzione internazionale, rinnovabile periodicamente alla relativa scadenza, in modo da guidare quest’ultimi verso traguardi di stabilizzazione politica nella democrazia, di acquisizione di modelli amministrativi ed organizzativi della società adatti ai tempi e realizzazione di tutte quelle infrastrutture e servizi indispensabili per la crescita socio - economica degli stessi, in modo da elevare il tenore di vita delle relative popolazioni, con conseguente stagnazione delle spinte migratorie e, ove mai fosse necessario attingere forza lavoro da detti paesi, qualificare sul posto e  selezionare alla partenza, la manodopera richiesta dal paese protettore (partner), vincolando peraltro quest’ultimo ad accettare solo ed unicamente lavoratori provenienti dal paese assistito.

Dette operazioni, logicamente, dovrebbero poter contare sul supporto finanziario del Fondo Monetario Internazionale che, in tal modo, avrebbe la possibilità di controllare meglio, attraverso la cogestione dei finanziamenti da parte dei paesi protettori, la destinazione e l’utilizzo effettivo degli stessi.

Un’operazione del genere, attuata in larga scala, oltre a raggiungere l’obiettivo di una stagnazione quasi immediata del flusso migratorio clandestino, comporterebbe una maggiore stabilizzazione politica mondiale ed un conseguente ampliamento del mercato globale, attraverso il coinvolgimento di paesi poveri ed arretrati, benché detentori di notevoli risorse naturali.

   Amaro

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